Imposte dirette
04 Novembre 2022
Che prevalgano i primi o i secondi, ognuno giudicherà secondo la propria, personale sensibilità. Che non sia la soluzione alla (op)pressione fiscale, però, è certo.
Molteplici, storiche e strutturali sono le criticità del nostro ordinamento fiscale, che si caratterizza per un’evasione che ci vede – ahimè – ai vertici e, al contempo, risulta asfissiante per i contribuenti onesti. Servirebbe un libro per descrivere le storture e le proposte di miglioramento, nonché per raccontare tutti i tentativi di semplificazione, costantemente promessa e mai, almeno finora, significativamente realizzata. Mancano, però, tempo e spazio in questa rubrica. Mi limito, pertanto, a qualche breve nota sulla flat tax. Tradotta, la “tassa piatta” non è una novità assoluta: le rendite finanziarie scontano un’aliquota fissa (26%), così come le locazioni sottoposte a “cedolare secca” (21% per i contratti a canone libero; 15% per i contratti a canone concordato); lo stesso vale per i redditi d’impresa prodotti dai soggetti Ires, attualmente tassati al 24% (tralasciando l’Irap, anch’essa comunque “piatta”, fatte salve le specifiche deduzioni).
I lavoratori autonomi individuali, che subiscono un prelievo progressivo, in base agli scaglioni di reddito, possono beneficiare di un regime più favorevole di tassazione, in presenza di specifici requisiti, fra i quali un volume di ricavi o compensi non superiore a 65.000 euro.
Ebbene, indipendentemente dalla possibile evoluzione normativa, che potrebbe elevare il limite a 100.000 euro o, alternativamente, innalzare il tetto da 65.000 a 100.000 euro per le partite Iva che già beneficiano della flat tax al 15%, con contestuale introduzione di una tassa piatta incrementale applicabile solo alla quota di reddito che eccede quello dichiarato l’anno precedente, appare evidente che le asimmetrie attualmente presenti potrebbero non solo non essere risolte ma, addirittura, peggiorare. Per alcuni, semplici e intuitivi motivi. Il primo dei quali consiste in un comportamento assai poco virtuoso di un non trascurabile numero di imprese e professionisti che, in prossimità del superamento del limite di ricavi o compensi oltre il quale è inibito l’accesso al regime di favore, è “indotto” (è un dato di fatto, non un giudizio etico) a restare sottosoglia per beneficiare di un prelievo ben più vantaggioso. Con effetti distorsivi evidentissimi.
Supponiamo, ad esempio, che il contribuente (A), professionista o impresa del terziario con costi fissi e variabili minimi, abbia realizzato ricavi per 65.000 euro. Ipotizzando il coefficiente massimo di redditività, ossia il 78%, con flat tax al 15% o al 5%, la tassazione ammonterebbe, rispettivamente, a 7.605 o a 2.535 euro [(65.000 x 78%) = 50.700 x 15% (o 5%) = 7.605 (o 2.535)]. Il contribuente (B), invece, con ricavi/compensi pari a 300.000 euro e costi per complessivi 249.300 euro, non potendo scegliere il regime flat tax (forfetario), subirà un prelievo Irpef (senza considerare le addizionali locali) pari a 17.281 euro. Il differenziale non necessita di particolari commenti, salvo rilevare che la sperequazione, a parità di reddito, è destinata ad aumentare ove fosse elevata la soglia da 65.000 a 100.000 euro. In altri termini, simile sistema di tassazione non tiene conto né del “sacrificio” per la produzione del reddito né di un altro elemento che, come vedremo, produce una conseguenza irrazionale.
Un ulteriore esempio chiarirà meglio gli strani effetti della flat tax. Supponiamo, partendo dai medesimi dati prima commentati, che i ricavi/compensi del contribuente (C) siano pari a 66.000 euro, con costi sostenuti in misura di 15.300 euro sia per (A) sia per (C). Come osservato, per (A) il prelievo fiscale potrà variare da 7.605 o a 2.535 euro che, sommati ai costi, determina un reddito disponibile di 42.095 euro (65.000 – 15.300 – 7.605, con flat tax al 15%) o di 47.165 euro (65.000 – 15.300 – 2.535, se la flat tax è al 5%). Il contribuente (C), pur avendo registrato ricavi superiori al contribuente (A) per 1.000 euro, avrà un reddito disponibile paradossalmente inferiore. Il calcolo, infatti, si sviluppa come segue: 66.000 – 15.300 (costi) = 50.700, che rappresenta l’imponibile fiscale, dal quale detrarre l’Irpef progressiva, ossia 14.701. Risultato finale, un reddito di 35.999 (66.000 – 15.300 – 14.701), con una differenza a favore di (A) di ben 6.096 euro (flat tax 15%) o, addirittura, di 11.166 euro (flat tax 5%).
Basta e avanza per avanzare qualche perplessità sull’equità della misura, ferma restando la necessità di abbassare e armonizzare un prelievo fiscale ormai giunto a livelli insostenibili.