Imposte dirette
05 Gennaio 2021
La consulenza tecnica d'ufficio costituisce per i professionisti un'occasione remunerativa, a cui si aggiungono motivazioni di ordine personale e professionale. È pur vero che il consulente può rimanere insoddisfatto.
La consulenza tecnica d’ufficio è un elaborato peritale redatto dal professionista (CTU) nominato dal Tribunale al fine di fornire una rappresentazione della realtà o di una particolare fattispecie in modo oggettivo e imparziale. Il professionista nominato dal Tribunale è chiamato a rispondere a determinati quesiti posti dal Giudice competente, formulando così un parere personale ma oggettivo su questioni sorte in sede di giudizio. Caratteristica principale del consulente è pertanto la neutralità: per tale caratteristica le spese di CTU non possono che ricadere su tutte le parti indistintamente, ossia primariamente sulla parte soccombente. In ragione del principio della neutralità della CTU e del suo interesse generale, i compensi e gli onorari dovranno essere liquidati dalle parti o dalla parte soccombente, che assume il ruolo di soggetto passivo del rapporto. Sebbene quest’ultimo sia obbligato al pagamento del compenso del CTU, tale prestazione è effettuata, in realtà, all’Amministrazione della giustizia, committente ma non esecutrice del pagamento. Il CTU, quindi, come specificato nella nota circolare n. 9/E/2018 dell’Agenzia delle Entrate, dovrà emettere fattura e:
• intestare la fattura all’Amministrazione di giustizia;
• addebitare l’Iva a titolo di rivalsa nei confronti dell’Amministrazione di giustizia;
• evidenziare che il pagamento (solutio) avviene con denaro fornito dalla/e parte/i individuata/e dal provvedimento del Giudice;
• non applicare il regime dello split payment: l’Amministrazione di giustizia, pur qualificandosi come Pubblica Amministrazione, non provvede ad alcun pagamento, quindi non può applicarsi il regime della scissione dei pagamenti.
La circolare sopra richiamata è chiara in tal senso, disponendo che l’applicazione della scissione dei pagamenti comporterebbe l’onere, per la parte obbligata al pagamento del compenso del CTU, di versare a quest’ultimo soltanto l’imponibile, mentre l’Iva relativa alla prestazione del CTU dovrebbe essere riversata all’Amministrazione della giustizia affinché quest’ultima, a sua volta, versi tale importo all’Erario, nell’ambito della scissione dei pagamenti. Tale doppio versamento costituirebbe un aggravio delle procedure e giustifica la non applicazione della disciplina della scissione dei pagamenti.
Determinati il soggetto passivo, il destinatario della CTU e l’applicazione del regime Iva, è necessario comprendere la sorte della ritenuta d’acconto Irpef relativa ai compensi spettanti al CTU per le operazioni peritali svolte, cui è obbligata una parte in causa.
La risposta 27.06.2019, n. 211 ha chiarito l’ambito di applicazione.
Il Giudice deposita la sentenza presso il Tribunale, la quale evidenzia anche il compenso spettante al perito e la parte esposta all’obbligo di sopportarne l’onere economico. Il CTU, quindi, ricevuto il pagamento dalla parte soccombente in giudizio, emetterà la fattura intestata all’Amministrazione della giustizia, avendo cura di evidenziare espressamente che il pagamento è stato effettuato da terzi e non dall’Amministrazione della giustizia.
Per tale motivo, l’Amministrazione di giustizia, non effettuando alcun pagamento, è altresì esonerata dalla liquidazione di qualsivoglia ritenuta d’acconto che, pertanto, dovrà essere versata all’Erario dalla parte soccombente, titolare passiva del rapporto di debito nei confronti del consulente ed esposta all’obbligo di sopportare l’onere economico, sempreché quest’ultima sia ricompresa tra i soggetti che rivestono la qualifica di sostituto d’imposta. Qualora invece la parte soccombente, titolare passivo del rapporto di debito esposta all’obbligo di sopportare l’onere economico, non rivestisse la qualifica di sostituto d’imposta, la ritenuta d’acconto Irpef non dovrà essere operata e non dovrà nemmeno essere evidenziata in fattura dal consulente.