Amministrazione e bilancio
19 Aprile 2019
Dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione (1.03.2019, n. 6104), che, in tema di finanziamenti soci, ha dato rilevanza alle risultanze del bilancio per quantificare la somma in denaro ricevuta dalla società e versata dai soci in un momento di squilibrio patrimoniale, si pongono varie questioni correlate. Una di queste è diretta conseguenza dell’affermazione della Suprema Corte: la non necessaria predisposizione di un verbale o di altra documentazione formale che disciplini il contratto di finanziamento. Questo concetto, tuttavia, non deve trarre in inganno, perché l’asserzione dei giudici di legittimità è finalizzata a dettare un criterio per la corretta qualificazione della posta in bilancio. Ma vediamo quali possono essere le conseguenze di finanziamenti soci appostati correttamente sotto il profilo contabile, ma non disciplinati da alcun documento formale.
Per esempio, la persistenza in bilancio di finanziamenti dei soci piuttosto datati, senza alcun atto formale posto alla loro base, potrebbe generare, in caso di verifica, strane contestazioni dell’Agenzia delle Entrate. Una di queste, peraltro abbastanza frequente, potrebbe essere l’eccezione di prescrizione e la conseguente iscrizione di una sopravvenienza attiva ai sensi dell’art. 88 del TUIR. I debiti derivanti da finanziamenti soci sono soggetti a prescrizione ordinaria decennale ai sensi dell’art. 2946 C.C., in quanto non è applicabile la prescrizione breve di cui all’art. 2949 C.C. (“Si prescrivono in 5 anni i diritti che derivano dai rapporti sociali…”), come confermato dalla Cassazione con sentenza n. 6561/2017. La ragione di questa esclusione risiede nella ristretta portata applicativa del citato art. 2949 ai soli rapporti inerenti all’organizzazione sociale in dipendenza diretta del contratto di società e non ai fatti riguardanti il recupero delle somme derivanti dai finanziamenti effettuati dai soci, che non trovano fonte nel contratto sociale, ma in un successivo accordo tra la società e i soci stessi.
Ma, in mancanza di una scrittura che disciplini il relativo accordo in tutti i suoi aspetti, compresa la data certa, potrebbero sorgere problemi nella ricostruzione storica di tali finanziamenti e quindi difficoltà nello stabilire il dies a quo per il conteggio dei termini di prescrizione. Pensiamo a un conto alimentato da continui versamenti e parziali rimborsi, in assenza di un accordo scritto. In queste situazioni l’Agenzia delle Entrate si inventa fantasiose, quanto noiose, presunzioni di prescrizione, richiedendo le imposte sulla “presunta” sopravvenienza attiva derivante dalla sopravvenuta insussistenza del debito a seguito dell’intervenuta prescrizione (a sua volta presunta). Ecco allora che il contribuente si difende eccependo che il comportamento concludente della società di mantenere in bilancio la posta contestata, così come la formale approvazione del bilancio d’esercizio, equivalgono a riconoscimento del debito con effetti interruttivi della prescrizione. Oppure, ancora, la produzione di dichiarazioni di riconoscimento del debito da parte del socio, possibilmente con data certa; però spesso non basta. Ma i maggiori problemi si riscontrano nelle società a conduzione familiare, spesso società di persone, in cui questi formalismi vengono trascurati. Si rileva un problema di questo genere nella recente sentenza della C.T.P. di Ferrara n. 82/2019 favorevole all’Agenzia delle Entrate.