Diritto privato, commerciale e amministrativo
02 Gennaio 2025
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32062/2024, afferma che, ai fini della validità dell’iscrizione del fermo dei beni mobili registrati, è necessario che vi sia proporzione fra il debito vantato dall’Amministrazione Finanziaria e il bene sottoposto alla misura.
La vicenda in esame riguardava un contribuente, il quale lamentava che, a fronte di un credito di circa 4.000 euro, era stata sottoposta a fermo un’autovettura del valore di circa 30.000 euro.
Come è noto, il fermo dei beni mobili registrati è una misura cautelare adottabile dall’Agente della Riscossione qualora, decorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento o 90 giorni dalla notifica dell’accertamento esecutivo, il contribuente o il coobbligato non abbiano provveduto al versamento delle somme. La disciplina generale è contenuta nell’art. 86 D.P.R. 602/1973 e nel D.M. 7.09.1998, n. 503.
Il richiamato art. 86 non prevede alcun limite di proporzionalità o di valore del credito tra i presupposti di applicabilità della misura. Solo l’ex Equitalia, in passato, aveva diramato criteri quantitativi per i fermi con la direttiva 5.07.2007, in cui gli Uffici erano stati esortati a non avvalersene per importi inferiori a 50 euro.
La Suprema Corte, proprio in mancanza di un criterio dettato dal legislatore, aveva sempre negato la necessità del requisito della proporzionalità (si veda Cass. 21.09.2017, n. 22018) anche se, in sede di merito, i giudici più volte hanno accolto le doglianze dei contribuenti sul vizio dell’eccesso di potere.