IVA
20 Giugno 2024
L'Amministrazione non può pretendere che il contribuente svolga verifiche complesse e analoghe a quelle che la stessa Amministrazione può eseguire con i propri mezzi.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14102/2024, ha stabilito che sulle fatture inesistenti, per l’assolvimento dell’onere probatorio della conoscenza o conoscibilità dell’acquirente della frode consumata dal fornitore, l’Amministrazione non può pretendere che il contribuente svolga verifiche complesse e analoghe a quelle che la stessa Amministrazione può eseguire con i propri mezzi.
La vicenda riguarda l’indetraibilità dell’Iva per fatture soggettivamente inesistenti, emesse da un’impresa senza struttura o dipendenti, la quale aveva omesso alcuni importanti adempimenti fiscali. In tale situazione, secondo giurisprudenza consolidata (sia unionale che di legittimità), ai fini della rettifica dell’Iva sugli acquisti, l’Ufficio deve provare, anche in via presuntiva, che il cessionario conoscesse o comunque avrebbe potuto conoscere l’illecito perpetrato a monte dal cedente, tramite verifiche che lo stesso avrebbe dovuto porre in essere, volte a indagare se il venditore si sia reso “colpevole” di violazioni fiscali quali omesse dichiarazioni, omessi versamenti, precedenti contestazioni analoghe e così via.
A nulla rileva, secondo tale giurisprudenza, che l’acquirente mai avrebbe potuto acquisire simili informazioni, sia perché sono dati non fruibili da terzi, sia perché non dispone né dei poteri né delle banche dati dell’Amministrazione Finanziaria. Nel caso oggetto della sentenza in commento, l’impresa cedente risultava regolarmente iscritta al Registro delle Imprese e le fatture dalla stessa fornite riportavano prezzi in linea con il mercato. Inoltre, nessuna più approfondita analisi della struttura organizzativa della stessa, a opera del ricorrente, avrebbe potuto essere messa in atto, non potendo lo stesso accedere agli stessi strumenti di indagine di cui possono disporre gli Uffici finanziari.