Lettera del direttore ·
02 Luglio 2024
L’Unione Europea è stato un grande progetto che ci ha consentito quasi 80 anni di pace, forse il periodo più lungo della storia di piccole e grandi nazioni litigiose e sempre in guerra tra loro. Con milioni di morti inutili fino all’abominio dei campi di concentramento. Non è da buttar via, teniamola anche imperfetta.
Ho l’impressione che l’Europa debba uscire da sé stessa. Che non significa in questo caso allargare confini, espandersi territorialmente o quant’altro. Significa, invece, uscire da prassi consolidate e sclerotizzate per inventarsi metodi nuovi. L’Unione Europea è stato un grande progetto che ci ha consentito quasi 80 anni di pace, forse il periodo più lungo della storia di piccole e grandi nazioni litigiose e sempre in guerra tra loro. Con milioni di morti inutili fino all’abominio dei campi di concentramento. Non è da buttar via, teniamola anche imperfetta.
Una nuova fase, però, è necessaria e mi dispiace che sia così urgente a causa di minacce esterne giunte ai confini e di nuovi assetti proposti da Stati che non conoscono democrazia. Avrei preferito un moto interno, un sussulto autonomo non dettato da contingenze, ma da una riflessione sul futuro, lontana magari da giochi politici, considerando il valore di un’istituzione sovranazionale nata per la pace e il benessere dei suoi cittadini.
Nello specifico credo che il percorso da intraprendere per il futuro sia quello dello sguardo al passato, alle buone ragioni e ai principi che l’hanno fatta nascere. Un po’ come la Chiesa, destinata sempre a porre davanti a sé le verità di 2.000 anni fa. Fatica enorme, disturbata dalla storia e dagli accadimenti e dagli uomini.
Il Mercato Unico: chi potrebbe immaginare ora un’Europa di piccoli Stati rispetto ai colossi privati mondiali che influenzano le politiche economiche e finanziarie più dell’Europa stessa? Sviluppo demografico, integrazioni, programmi di ricerca, mobilità, moneta unica: chi tornerebbe indietro?
Manca ancora, forse, il sentirsi pienamente comunità poiché la storia ci ha consegnato divisioni a volte insanabili, un coacervo di lingue e mille dialetti, ancora troppe bandiere identitarie quando l’Europa è stata nei secoli e a turno romana, barbara, francese, tedesca, anche un po’ vichinga, inglese, spagnola, italiana e slava.
Bisogna perfezionare la decisione. A volte è difficile capire come si distribuiscono le competenze tra Parlamento, Consiglio, Commissione e i singoli Stati. L’Europa ha difficoltà a decidere. E non si tratta qui di importare modi di azienda, dove è chiara la catena decisionale. Si tratta di preservare la condivisione e le competenze, in un percorso dettato dalle norme, ma chiaro, rapido ed efficace.
Ultimamente, soprattutto in vista dell’ultima campagna elettorale, mi è parso di vedere un’Europa terreno di scontro politico più che un’istituzione votata al bene comune. Niente progetti, nessuna visione del futuro, carenza anche di una cultura condivisa sui valori che l’hanno fondata.
Peccato, poiché si stanno affermando nuovi mondi, africano, asiatico, arabo, sudamericano, che hanno altre visioni, altre prospettive che non coincidono necessariamente con i nostri principi.
Eurexit, quindi, per tornare su sé stessa, anche orgogliosa delle scelte fatte dopo immani disastri che hanno consentito di imparare dalla propria storia per impostare qualcosa di nuovo, che va immaginato al di là della continua litania della sclerotizzazione burocratica.
Una nuova elaborazione è da auspicare: l’astensionismo lo impone.