IVA
07 Marzo 2024
Utilizzare il TD28 per gli acquisti da non residenti (diversi da San Marino) può esporre il cessionario a sanzioni (ben che vada) da 250 a 10.000 euro.
Dal 1.02.2024 è stata estesa la possibilità di utilizzare il TD28 per la comunicazione, ai fini dell’esterometro, degli acquisti con erroneo addebito dell’Iva nazionale nelle forniture B2B, interne, da parte di qualsiasi fornitore non residente/stabilito, ma identificato direttamente o con rappresentante fiscale in Italia. La novità trova supporto nelle nuove specifiche tecniche 1.8 in aderenza alla soluzione già fornita dall’Agenzia delle Entrate in risposta a 2 eventi organizzati dalla stampa specializzata.
La soluzione del TD28, dal punto di vista informatico, è ineccepibile. Consente, in sostanza, la comunicazione degli acquisti con Iva irritualmente esposta nella fattura emessa dal fornitore estero, senza generare la posta di Iva a debito come farebbe, invece, il TD19 (o il TD17 per i servizi). Tale codice è stato introdotto con effetto da ottobre 2022 (vedi Ratio Quotidiano del 15.09.2022) per gestire gli acquisti da San Marino nella particolare ipotesi in cui il fornitore di San Marino addebiti l’Iva (artt. 6, 7 e 22 D.M. 21.06.2021) ed emetta fattura analogica non essendo obbligato a quella elettronica per non aver superato la soglia di 100.000 euro di ricavi (D.D. 147/2021).
Ma si deve usare tale soluzione anche per gli acquisti da altri fornitori esteri che addebitano “irritualmente” l’Iva nazionale? A giudizio di chi scrive l’utilizzo va sconsigliato a meno che il legislatore prossimamente non valuti di togliere le sanzioni che la normativa attualmente (e paradossalmente) prevede a carico del cessionario committente (la bozza di decreto di riforma delle sanzioni del 21.02.2024 non prevede novità su questo aspetto).
(ovvero per chi non applica il reverse charge)
L’art. 6, c. 9-bis.1 D.Lgs. 471/1997 riconosce, com’è noto, la detrazione per il cessionario/committente dell’Iva irritualmente addebitata dal fornitore nelle operazioni menzionate nel comma 9-bis (fra le quali quelle dell’art. 17, c. 2 D.P.R. 633/1972), ma prevede una sanzione fra 250 e 10.000 euro in capo al cessionario/committente di cui il fornitore (che commette l’errore) è responsabile solo in solido. Il cessionario/committente residente che trasmette un TD28 celebra, quindi, l’inserimento del proprio nominativo nella lista dei soggetti su cui l’Amministrazione Finanziaria potrebbe irrogare le sanzioni suddette.
La potenza di fuoco dell’Agenzia delle Entrate è già stata sperimentata (anche se non ancora sugli acquisti in reverse charge) lo scorso anno con l’invio delle lettere di compliance che hanno rilevato le tardive trasmissioni delle fatture elettroniche attive. Ciò osservato va da sé che l’uso del TD28 va quindi ponderato con attenzione.
Va innanzitutto ricordato che è consolidato il fatto (circ. n. 16/E/2017, interpelli nn. 201/2021 e 501/2021) che il cessionario/committente possa accompagnare l’invio del TD28 dal ravvedimento operoso (27,78 euro fino a 90 giorni; 31,25 euro oltre i 90 giorni ma entro la dichiarazione annuale di riferimento, ecc.), ma non è possibile escludere che l’Agenzia delle Entrate non possa accertare il “malcapitato” (lo dice la norma) con la più pesante sanzione dell’art. 6, c. 1 ovvero dal 90 al 180% (che scenderà probabilmente al 70% con la riforma) laddove sia dimostrato che l’applicazione della rivalsa, in luogo del reverse charge, “è stata determinata da un intento di evasione o di frode del quale sia provato che il cessionario o committente era consapevole”. Ovvio quindi che le cose potrebbero diventare imbarazzanti laddove il fornitore faccia il “furbetto”, non ponga in essere i versamenti Iva nel nostro Paese, e si “dilegui”.
Al netto dell’eventuale applicazione del ravvedimento (laddove non vi siano sospetti di frode), l’approccio consigliabile è quindi quello di chiedere al fornitore lo storno della fattura (con restituzione dell’Iva già pagata) e la ri-emissione della stessa in reverse charge e di applicare comunque il reverse charge, anche laddove il malcapitato non riesca a farsi restituire l’Iva erroneamente applicata, rinunciando (sostanzialmente) alla detrazione, tanto più se si tratta di singoli acquisti (via e-commerce) di pochi euro. Applicando quindi sempre il reverse charge il cessionario/committente pone in essere esattamente quello che richiede l’art. 17, c. 2 e, pertanto, comunica l’acquisto con un rituale TD19 (o TD17 se servizio).
Nell’ipotesi in cui l’Iva non sia chiesta a restituzione (o comunque non venga restituita), rimangono i soliti dubbi legati all’importo su cui calcolare l’Iva del reverse charge: su 122 ivato o su 100 senza Iva? A giudizio di chi scrive entrambe le tesi sono sostenibili anche se la prima pare più prudente. Altra questione può riguardare l’indeducibilità (art. 99 del Tuir) dell’Iva di cui si rinuncia alla detrazione, ma anche tale prospettazione pare arginabile, quantomeno per i piccoli acquisti, laddove si convenga sull’assonanza con il caso delle spese per ristoranti con ricevuta fiscale (quindi senza detrazione dell’Iva) affrontato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 25/E/2010.