Diritto del lavoro e legislazione sociale
09 Settembre 2024
Con ordinanza 5.01.2024 n. 378, la Corte di Cassazione ha affermato che non è possibile procedere alla trasformazione di un contratto di lavoro intermittente in un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, qualora manchi il DVR.
Il contratto di lavoro intermittente è una delle forme contrattuali maggiormente in uso, soprattutto in contesti che necessitano di flessibilità, ma è al contempo una delle forme contrattuali meno considerate dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro, proprio per il suo grado di flessibilità e occasionalità.
Cosa succede qualora il datore di lavoro non abbia proceduto con la valutazione dei rischi?
Sul tema si è espressa la Cassazione, che con ordinanza n. 378/2024 ha stabilito che non può essere prevista la conversione ab origine del rapporto di lavoro a chiamata in contratto a tempo indeterminato; secondo la Cassazione, infatti, l’art. 14 D.Lgs. 81/2015 (normativa di riferimento per il contratto intermittente) non ha posto come sanzione alla mancata adozione del documento di valutazione dei rischi la conversione del rapporto di lavoro in contratto subordinato a tempo pieno e indeterminato.
Il legislatore, in questo passaggio, ha ritenuto che l’omessa adozione del documento di valutazione dei rischi non abbia riflessi sulle clausole contrattuali e nemmeno ne alteri lo schema causale.
L’ordinanza interviene sulla richiesta avanzata dall’Inps in relazione a differenze contributive derivanti, a parere dell’Istituto, dalla mancanza di valutazione dei rischi, che avrebbe invalidato il contratto di lavoro intermittente: “I contributi venivano conteggiati, secondo la prospettazione dell’Inps, come se i rapporti fossero stati di lavoro subordinato fin dall’inizio (2007), sul presupposto della nullità del contratto di lavoro intermittente in mancanza del documento di valutazione dei rischi e della riconduzione del rapporto nell’alveo delle regole del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
A parere della Suprema Corte risulta, dunque, non pertinente il richiamo alla giurisprudenza di legittimità sulla conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato per effetto della nullità parziale della clausola:
“Il legislatore ha mostrato di ribadire tale assetto nel 2015, con l’art. 20, c. 2 D.Lgs. n. 81/15, ove è stabilito che nel contratto di lavoro intermittente a tempo determinato la mancata adozione della valutazione dei rischi determina la nullità della clausola appositiva del termine, e alla nullità parziale, ex art. 1419, c. 2 c.c., segue la conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato. La conversione non è stata prevista, invece, per il contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, perché il legislatore ha ritenuto che l’omessa adozione del documento di valutazione dei rischi non incidesse su alcuna clausola del contratto, determinandone la deviazione dal tipo legale, e nemmeno ne alterasse lo schema causale. […]. Né, una volta esclusa la conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, può predicarsi la conversione ai soli effetti del rapporto previdenziale: non si rinvengono, invero, disposizioni normative che, per il contratto di lavoro intermittente, giustifichino direttrici diverse per il rapporto previdenziale – nel segno della conversione – e per il rapporto di lavoro, nell’alveo dell’art. 2126 c.c.”.