Lettera del direttore ·
27 Novembre 2023
L’apparire di ogni innovazione, dalla più semplice alla più invasiva, comporta una riflessione sulle professioni. Alcune delle quali, non tutte, sono descritte come in via di estinzione o in profondo cambiamento.
Che la dinamica professionale sia sempre aperta è indiscutibile: la sola produzione legislativa a ogni livello, la tecnologia, il mercato, il rapporto con le persone sono fattori quotidiani di cambiamento e ambiti di riflessione che si trasformano, nel tempo, in competenze strutturate.
L’affermarsi nel dibattito professionale delle innovazioni che l’Intelligenza Artificiale (IA) porterà è uno di quei momenti che fanno oscillare tra curiosità e approvazione da una parte e disorientamento e preoccupazione dall’altra. Cosa ne sarà di ogni singola professione al cospetto di questo Moloc che promette prestazioni inaudite e che si appresta a invadere ogni campo del sapere e quindi anche professionale?
Da ottimista propenderei per una fiducia sconsiderata nell’uomo e nella sua capacità di dominare anche un sistema che sviluppa capacità di elaborazione mai pensate. Guardandomi poi intorno, leggendo i giornali, vedendo immagini di guerre, mi viene qualche dubbio sull’intelligenza umana e sulla sua capacità di dominare i dati in funzione di obiettivi positivi, magari di pace e di sviluppo generalizzato. Questa, però, è un’altra storia, la nostra storia.
Il problema sembra essere quello della conservazione e trasmissione della conoscenza, che passa dal professionista a una macchina. E nemmeno a una macchina, ma a un sistema spesso inesplicabile di connessioni che si ricompongono, a richiesta, in una risposta, in un testo, in una immagine. La formazione, come miscellanea tra acquisizione di nozioni, flessibilità intelligente e risonanza con il mondo, sarà ridotta al mero utilizzo di algoritmi? Metto un punto interrogativo, poiché credo ancora nell’insostituibilità del ruolo umano e nella possibilità, tutta umana, di commettere errori e comunque pervenire a una loro riparazione migliorativa.
Sono convinto, quindi, anche che giungeremo a un dominio efficiente dell’IA, come è accaduto per tutte le innovazioni digitali di questi decenni, che hanno cambiato sì, ma anche migliorato, le capacità di servizio professionale.
Nel mondo delle professioni, però, sta avvenendo anche un fenomeno inatteso, il sopravvenire di atteggiamenti culturali non previsti e anche imperscrutabili, da parte delle giovani generazioni. Sono scelte di vita che non corrispondono ai canoni classici del mercato delle prestazioni. Orientamenti culturalmente innovativi, ma asimmetrici rispetto alla domanda di servizi, si affermano e mettono in crisi le professioni classiche e ne creano di nuove, inaspettate, forse faticose, ma corrispondenti a un nuovo senso della propria vita. Sono professioni dell’essere che poco hanno a che fare con l’IA, ma magari con vecchie sapienze, con la circolarità, con nuovi ritmi di vita.
Così appare una divaricazione tra un mercato professionale, tutto interno alle esigenze di efficienza, dominato dai sistemi esperti, dalla IA, e un mondo di competenze, che ancora deve appieno definirsi, ma che insiste sulla dimensione dell’essere. Non è detto che i due campi non possano interagire. Succederà senz’altro e sta già avvenendo. E si mescolano gli elementi positivi di entrambi, poiché poi la fantasia è un carattere specifico dell’uomo.
Giunto alla conclusione dell’editoriale, stavo dimenticando di aggiungere un aspetto essenziale: sarebbe anche il caso di riflettere su un punto, ossia che la nostra straordinaria capacità di creare intelligenze artificiali non sembra coincidere, troppo spesso, con un’altrettanta, necessaria e insopprimibile capacità. Quella di far funzionare e utilizzare l’intelligenza “naturale”, che sembra in via di estinzione…