Amministrazione e bilancio
01 Aprile 2020
Diritti a percepire dividendi per nudo proprietario e usufruttuario.
È molto dibattuto in dottrina chi sia il soggetto legittimato, tra il nudo proprietario e l’usufruttuario, a percepire i dividendi e le riserve in costanza di usufrutto. La questione nasce dal fatto che gli artt. 2352 e 2471-bis C.C. attribuiscono, salvo diversa disposizione delle parti, il diritto di voto all’usufruttuario, mentre non dicono nulla in merito ai diritti patrimoniali connessi alle azioni o alle quote. A tale proposito risultava prevalente l’impostazione secondo la quale l’usufruttuario può “trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare” (art. 981, c. 2 C.C.) nel senso che il soggetto beneficiario della distribuzione è l’usufruttuario. A sua volta il Comitato Triveneto dei Notai (massime H.I.27 e I.I.32), stante la carenza normativa, si è espresso affermando che all’usufruttuario di azioni e o di quote spettano i diritti economici previsti dalla disciplina generale, cioè il diritto a percepire i frutti civili cui all’art. 984 C.C. Nel caso delle azioni o delle quote societarie, hanno natura di frutti civili gli utili di esercizio di cui sia deliberata la distribuzione. Viceversa, gli utili destinati a riserva non competono all’usufruttuario, in quanto la decisione di non distribuirli equivale ad una loro “capitalizzazione”, con definitiva apprensione al patrimonio della società delle somme accantonate.
L’eventuale delibera di distribuzione di riserve, siano esse da utili o di capitale, equivale a un’attribuzione di somme che rappresentano un capitale e non al pagamento di un frutto civile, per cui il diritto alla loro riscossione spetta al socio nudo proprietario. Il nudo proprietario, ex art. 1000 C.C., dovrà esercitare tale diritto in concorso con l’usufruttuario e solo sulle somme riscosse si trasferirà l’usufrutto.
In buona sostanza, le massime stabiliscono che, ove fossero distribuite riserve costituite ante o anche post costituzione del diritto di usufrutto, all’usufruttuario nulla spetterebbe, se non l’usufrutto sulle stesse somme distribuite. Seguendo il ragionamento del Comitato Triveneto dei Notai, la decisione dei soci di non distribuire gli utili non determina il semplice loro accantonamento in attesa di una futura distribuzione, ma produce un vero e proprio “conferimento” a patrimonio, assimilabile a un versamento in conto capitale. La delibera di non distribuzione degli utili comporta la perdita definitiva e irreversibile del diritto dell’usufruttuario alla loro distribuzione.
Tuttavia, sarebbe più equo considerare le riserve divise in 2 categorie: quelle ante costituzione del diritto di usufrutto e quelle post. Sulle riserve costituite ante usufrutto, per l’usufruttuario varrà il diritto al solo usufrutto, se distribuite; per le riserve costituite post usufrutto, spetterà invece all’usufruttuario il capitale pieno, trattandosi di utili che gli sarebbero in ogni caso spettati. Risulterebbe pretestuoso cambiare la natura dell’utile solo perché preventivamente accantonato a riserva. Si tratta, infatti, di utili realizzati in presenza di usufrutto, e quindi in qualche modo di pertinenza del solo usufruttario.
Ai fini fiscali, invece, rimane ferma la presunzione assoluta di priorità distributiva degli utili di cui all’art. 47, c. 1 D.P.R. 917/1986, indipendentemente da quanto indicato nella delibera assembleare.