Diritto privato, commerciale e amministrativo
26 Febbraio 2024
La mancata proposizione dell'istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, secondo la presunzione legale, a una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto.
Ai sensi dell’art. 214 c.p.c., quando una parte produce una scrittura privata, colui contro il quale è prodotta, se intende disconoscerla, è tenuto a negare la propria scrittura o la propria sottoscrizione. Di fronte al disconoscimento la parte che intende valersi della scrittura deve chiedere la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire da comparazione.
La scrittura privata richiamata è qualunque documento non redatto da pubblico ufficiale che contenga le sottoscrizioni delle parti. Tale scrittura fa fede fino a querela del falso sulla provenienza delle dichiarazioni, se colui che l’ha sottoscritta la riconosce.
Di fronte al disconoscimento, qualora la parte interessata non promuova il sub-procedimento di verificazione, il documento è inutilizzabile e il giudice non può trarne il suo convincimento nemmeno come elemento indiziario. Il disconoscimento della scrittura privata preclude infatti al giudice ogni possibilità di utilizzare la scrittura privata stessa, o comunque di prenderla in esame ai fini della formazione del proprio convincimento, finché non sia stato concluso il procedimento di verificazione, che va obbligatoriamente disposto a seguito della proposizione della corrispondente istanza di parte (Cass. Sez. L, sentenza 16.12.1983, n. 7433).
Cosicché la mancata proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, secondo la presunzione legale, a una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto e che la parte che ha disconosciuto la scrittura non può trarre dalla mancata proposizione dell’istanza di verificazione elementi di prova a sé favorevoli (Cass. S.U., sentenza 1.02.2022, n. 3086; Sez. I, sentenza 20.11.2017, n. 27506; Sez. III, sentenza 16.02.2012, n. 2220).
Pertanto, all’esito della mancata presentazione di un’istanza di verificazione conseguente al disconoscimento, è preclusa al giudice la valutazione ai fini della formazione del proprio convincimento, senza che gli sia consentito maturare altrimenti il giudizio sulla sua autenticità in base a elementi estrinseci alla scrittura o ad argomenti logici, divenendo perciò il documento irrilevante, e non utilizzabile, nei riguardi non solo della parte che lo disconosce, ma anche, e segnatamente, della parte che lo ha prodotto.
Sulla base dei suesposti principi la Suprema Corte, con ordinanza 8.2.2024, n. 3602, ha cassato la sentenza di merito che aveva fondato il proprio convincimento su una transazione prodotta e disconosciuta e non oggetto di verificazione, ritenendo che ogni contestazione circa la veridicità della sottoscrizione della transazione fosse priva di valore, essendo totalmente in contrasto con il contenuto dell’atto e della dichiarazione di quietanza in esso contenuta.