Imposte dirette

19 Giugno 2024

Deducibili le spese di manutenzioni su beni di terzi, se inerenti

La Corte di Cassazione, con la sentenza 7.06.2024, n. 15966, si è pronunciata sul diritto di deduzione fiscale ai fini delle imposte sui redditi e sulla detrazione Iva in ordine alle spese di ristrutturazione di un immobile ricevuto in locazione. 

Il giudice di Cassazione nell’accogliere il ricorso della parte contribuente rappresenta come le Sezioni Unite siano intervenute sulla questione della detrazione dell’Iva con riguardo a lavori di manutenzione o ristrutturazione su immobili di terzi condotti in locazione, affermando che deve “riconoscersi il diritto alla detrazione Iva per lavori di ristrutturazione o manutenzione anche in ipotesi di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità con l’attività d’impresa o professionale”(Cass., S.U. sent. 10.05.2018, n. 11533).

Le medesime considerazioni, tuttavia, sono valide anche ai fini delle imposte dirette, dovendosi considerare unitario, per la sua derivazione dalla nozione di reddito d’impresa, il principio di inerenza dei costi. Pertanto, l’esercente attività d’impresa o professionale può dedurre dai redditi d’impresa i costi occorsi per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di un immobile condotto in locazione, anche se si tratta di un bene di proprietà di terzi, purché sussista il requisito dell’inerenza, avente valenza qualitativa e, quindi, da intendersi come nesso di strumentalità, anche solo potenziale, tra il bene e l’attività svolta (Cass. 27.09.2018, n. 23278).

Per il giudice di Cassazione la C.T.R., nell’escludere l’inerenza dei costi all’attività di impresa nell’ipotesi di immobili detenuti in locazione, assumendo che in tal caso l’unico beneficiario sarebbe il locatore, non si è attenuta a questi principi. In tema di Iva va anche richiamata, proprio per la ricongiunzione causale che presenta con la sentenza in commento, anche la posizione della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza 14.05.2024, n. 13162), la quale si è pronunciata sulla possibilità di ammettere il rimborso dell’Iva relativa all’effettuazione di lavori di ristrutturazione di fabbricati e impianti su un terreno che il contribuente deteneva in virtù di un contratto di locazione stipulato con un soggetto terzo e non quale proprietario, quindi al di fuori della previsione letterale di cui all’art. 30, c. 3, lett. c) D.P.R. 633/1972 che circoscrive la fattispecie al solo acquisto e importazione di beni.

L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che dovesse venire negata l’equivalenza dei presupposti di legge alla base dell’esercizio del diritto della detrazione e di quello del rimborso, per cui l’Iva relativa a opere su manufatti di proprietà di terzi, non potendo questi ultimi essere annoverati tra i beni ammortizzabili dell’impresa, secondo le prescrizioni di cui agli artt. 102, 103 D.P.R. 917/1986 e non potendo essere ritenuto sufficiente il solo presupposto della strumentalità delle spese, il diritto al rimborso dell’Iva doveva essere ritenuto precluso.

Per la specifica risoluzione ai fini Iva delle questioni in controversia va attribuito un ruolo preponderante alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che, in via del tutto consolidata, ha affermato che la normativa interna deve attenersi a precisi caposaldi, non valicabili a pena di incompatibilità unionale, ossia il rispetto dei principi di effettività ed equivalenza, di ragionevolezza del termine per il rimborso e di garanzia di assenza di rischi finanziari per il soggetto passivo (tra le altre, v. Corte giust., C-107/10, Enel Maritsa Iztok; C-431/12, Rafinaria Steaua Romana; C-254/16, Glencore Agriculture Hungary), e, su tutti, il prorompente e tendenzialmente assoluto principio di neutralità dell’Iva che deve sempre orientare la risoluzione delle questioni giuridiche in tema di Iva.

Proprio alla luce di tali non eludibili principi di diritto del Giudice Europeo appare evidente come dev’essere rigettato l’indirizzo che restringe la portata applicativa della previsione di cui all’art. 30, c. 2, lett. c) D.P.R. 633/1972 a motivo delle espressioni letterali “acquisto” e “ammortizzabili” in esso usate, negando che sia rimborsabile l’Iva assolta in relazione a beni non acquistati, dei quali il soggetto passivo non abbia acquisito la proprietà o altro diritto reale e che per tale ragione non rientrino tra i beni dell’impresa ammortizzabili secondo la non rilevante (ai fini degli scrutini Iva) disciplina del Tuir, anche se si tratta di beni strumentali all’esercizio della impresa.

Tali pronunce avevano enucleato la nozione di “bene ammortizzabile” dagli artt. 102, 103 del Tuir e 2424, lett. b), I e II c.c., come bene iscrivibile tra le “immobilizzazioni” (materiali o immateriali) che, secondo i principi contabili, sono riferibili a costi a utilità pluriennale per l’acquisto di beni durevoli, escludendosi che possa considerarsi a tal fine sufficiente la mera “strumentalità” del bene. Trattavasi all’evidenza di un’ermeneutica di mera superficie perseguita dal giudice di Cassazione nelle indicate pronunce, dal momento che traslava nozioni e situazioni giuridiche pensate per le imposte sui redditi all’Iva che, come imposta sui consumi, riassume paradigmi impositivi del tutto diversi sul piano causale.

L’ermeneutica corretta è solo quella che fonda sul principio eurounitario della neutralità l’indagine e la risoluzione delle controversie esegetiche. In materia di Iva, bisogna sempre considerare che l’operatore economico non è il soggetto che manifesta l’atto di capacità contributiva, in quanto esso si raccorda solo con il consumatore finale. L’imprenditore è solo un ausiliario della riscossione che opera per conto dell’Istituzione erariale, immesso nelle dinamiche impositive dell’Iva non in virtù di un accordo di fonte negoziale, ma per perentoria prescrizione legale.

La rigorosità del regime neutro dell’Iva, quindi, va intesa anche alla luce della necessità di non procurare situazioni di squilibrio finanziario nei confronti degli operatori professionali (i cd. incisi di diritto del tutto distinti dai cd. incisi di fatto costituiti dai consumatori finali, sui quali soltanto s’incentra il fondamento causale-economico dell’Iva), in quanto costoro esperiscono solo un ruolo strumentale nella dinamica attuativa dell’Iva a diretto vantaggio dell’Erario. Categorie di diritto nazionali, o formalistiche catalogazioni derivanti dal bilancio e dai principi contabili, o da nozioni giuridiche proprie di altri ordinamenti o comparti impositivi non si rendono traslabili con automatismo nell’Iva, proprio in virtù dell’indicata speciale prerogativa di tale imposta che non incentra sul soggetto passivo la relativa manifestazione di capacità contributiva.

Tale conclusione è stata confortata dal citato Collegio a Sezioni unite per il quale testualmente “È l’interpretazione “unionalmente orientata” a dover guidare l’esegesi dell’art. 30, c. 2, lett. c), D.P.R. 633/1972, oltre alla sua stretta letteralità, latamente intendendosi per “acquisto” la disponibilità del bene e per “ammortizzabile” la sua durevolezza/utilità pluriennale, campeggiando in questo lessico normativo il concetto funzionale, questo sì imprescindibile, di “strumentalità” ai fini imprenditoriali del soggetto passivo”.
Il giudice a Sezioni Unite ha ancora precisato: “Tale indirizzo dev’essere privilegiato, per la dirimente ragione che il giudice nazionale, particolarmente quello di ultima istanza, nel caso dubbio deve adottare un criterio di “interpretazione conforme”, alla disciplina unionale delle direttive Iva”. A tal proposito va sottolineato come l’obbligo dell’interpretazione conforme, quale strumento attuativo del rango gerarchico del diritto unionale, è del tutto pacifico nelle giurisprudenze della Corte di giustizia (dalla sentenza Von Colson, C-14/83 in poi) e della Corte costituzionale (dalla sentenza Granital n. 170/1984 in poi).

Anche la Corte di Cassazione, con la sentenza 7.06.2024, n. 15966 qui in commento, si allinea ai principi di diritto sopra esposti e torna a ribadire che il verificato ruolo di sinergia della spesa con l’esercizio dell’impresa è condizione necessaria, ma anche sufficiente per il diritto di detrazione dell’iva e nel contempo, in virtù della contiguità concettuale dell’inerenza nella disciplina dell’Iva e delle imposte sui redditi tale nesso di funzionalità è altresì alla base del diritto di deduzione fiscale nel comparto dell’imposizione diretta.

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