Lettera del direttore ·
21 Novembre 2024
L’idea di doversi proteggere non è certo nuova, è la soluzione più facile poiché convince le persone di essere, in qualche modo, attaccate da agenti esterni che approfittano della loro produzione, del loro lavoro. Quindi, decisione intrisa di ideologia, di convenienza politica, buona per dimostrarsi difensori di qualche identità in un mondo a cui l’economia ha sottratto l’idea di confine. La minaccia poi viene da un campione di export come gli Stati Uniti, che ha allevato in seno geniali inventori di oggetti di consumo di cui non potremmo più fare a meno. E non solo oggetti, ma reti di connessione, un modo di vivere e comunicare, di relazionarci con gli altri, di essere a conoscenza di tutto quello che succede in ogni angolo della terra in tempo reale.
L’idea di doversi proteggere non è certo nuova, è la soluzione più facile poiché convince le persone di essere, in qualche modo, attaccate da agenti esterni che approfittano della loro produzione, del loro lavoro. Quindi, decisione intrisa di ideologia, di convenienza politica, buona per dimostrarsi difensori di qualche identità in un mondo a cui l’economia ha sottratto l’idea di confine. La minaccia poi viene da un campione di export come gli Stati Uniti, che ha allevato in seno geniali inventori di oggetti di consumo di cui non potremmo più fare a meno. E non solo oggetti, ma reti di connessione, un modo di vivere e comunicare, di relazionarci con gli altri, di essere a conoscenza di tutto quello che succede in ogni angolo della terra in tempo reale.
Mi piacerebbe capire come uno strumento obsoleto come una tassa imposta sull’importazione di oggetti possa influire sulla irrevocabile impostazione digitale dei flussi economici, come si potrebbe arrestare la macchina che loro stessi hanno messo in moto. È possibile pensare a un’autarchia circa le cose e contemporaneamente a un contesto planetario di relazioni, di oggetti immateriali che sembrano più graditi di qualsiasi altro oggetto materiale? Ho una certa età per ricordare che il regalo più gradito al compimento dei sedici anni, per quasi tutti i ragazzi, era il motorino. Prima la bici, poi un motorino anche scassato da aggiustare in compagnia. Oggi non vedo più motorini in giro, ma vedo ragazzi incollati allo schermo del cellulare onorare e alimentare quei beni senza sostanza materiale che sono le relazioni, i filmati, le approvazioni e le disapprovazioni, il mondo virtuale che non conosce limiti (purtroppo, bisogna dire!).
È chiaro come sia tutto intrecciato. Anche la produzione di oggetti è alimentata dalla circolazione delle informazioni e delle idee, una creatività che corre sui fili di rame, di fibra o nell’etere e che si deve in qualche maniera materializzare. Perché ci sarà sempre bisogno di cibo, di abiti, di auto per circolare, di case in cui abitare. Ma se si frena l’ultima parte del processo si ferma anche la fonte, e qualsiasi mostruosa Intelligenza Artificiale starà lì, con le mani in mano, a osservare come la manualità cinese riuscirà, comunque, a invadere qualsiasi mercato protetto con i suoi prodotti. Che poi non è più così vero che i prodotti cinesi siano frutto di manualità esasperata e sfruttata, perché loro sono partiti al contrario, da un’autarchia tecnologica, copiando intelligentemente modi e tecniche di produzione più che il prodotto stesso. Non so, ma questa dei dazi mi sembra una bolla o una minaccia che non potrà durare, soprattutto se i decisori statunitensi saranno influenzati da chi ha fatto del pianeta Terra un mondo ormai stretto e pensa già a Marte.
L’economia, come disciplina e come pratica, ha in sé il germe dell’apertura, dello scambio, della ricerca del nuovo e di nuovi mercati e difficilmente potrà sconfessare sé stessa. Tuttavia, in attesa che si produca l’inevitabile retromarcia o che la minaccia si spenga sul nascere, non sarebbe male pensare, in periodo natalizio, ad acquistare regali rigorosamente made in Italy.
Così, per essere prudenti. E per volerci un po’ più bene …