Consulenza aziendale, commerciale e marketing
31 Luglio 2024
Gli strumenti di governance consapevole sono cruciali per prevenire le crisi, gestire i rischi e orientare la gestione verso attività che generano valore anche per gli stakeholder e la società nel suo complesso.
Il contesto normativo nazionale e comunitario nonché l’evoluzione dell’opinione pubblica spingono sempre più imprese a dotarsi di strumenti di governance consapevole. In un documento, pubblicato lo scorso 12.07.2024, il CNDCEC e la Fondazione dei dottori commercialisti hanno approfondito la tematica focalizzando l’attenzione sulle numerose relazioni tra le tematiche ESG ed il framework normativo fornito dal D.Lgs. 231/2001, verificandone le potenzialità in termini di compliance integrata.
Allo stato attuale si può parlare di rilevanza penale dell’ESG nella misura in cui alcuni fattori legittimano l’impresa a godere di determinati benefici (ad esempio: fiscali, finanziari, ecc.). I temi ESG, di fatto, sono intimamente connessi con le diverse tipologie di reato che coinvolgono un’impresa, comportando la responsabilità dell’organo amministrativo e/o dell’organo di controllo oltre che, talvolta, della società stessa.
Tuttavia, l’assenza di definizioni, metriche e rating condivisi per gli investimenti ESG comporta, spesso, il sorgere dei rischi di false comunicazioni sociali, di fenomeni di greenwashing (affermazioni fuorvianti e/o lacunose e/o omissive sulle effettive caratteristiche di sostenibilità dei prodotti) oppure fenomeni di greenhushing (presentare come ecologici prodotti o servizi che in realtà non lo sono).
L’art. 3 D.Lgs. 254/2016, in particolare, prevede che la “Dichiarazione non Finanziaria” o “DNF”:
In merito al rischio di false comunicazioni sociali, alla luce di quanto previsto dagli artt. 2621 e 2622 c.c., non pare esservi spazio per una rilevanza penale. Il delitto di false comunicazioni sociali punisce, infatti, le dichiarazioni non veritiere attinenti alle informazioni di carattere finanziario, economico e/o patrimoniali dell’impresa. La norma si riferisce solo a quelle informazioni che espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge, che inducono in errore in merito alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo.
Infatti, passando da una dimensione “statica” dell’impatto dei fattori ESG di un’impresa, qual è quella della DNF, ad una visione più ampia e dinamica sui temi di sostenibilità (clima, società, governance, ma anche adeguamento alla compliance ESG, ecc.), introdotta dalla CSRD, risulta difficile pensare che un’informazione fuorviante in un certo ambito non si riverberi, ad esempio, sull’apprezzamento del futuro valore dell’impresa e, quindi, non abbia un impatto sui dati patrimoniali, economici e finanziari, ricadendo quindi nella fattispecie, almeno, delle false comunicazioni sociali di cui ai già richiamati artt. 2621 e 2622 c.c..
Di conseguenza, non è un caso che l’art. 10 dello schema di decreto di recepimento della CSRD estenda l’applicazione degli art. 2621 e 2622 c.c. (entrambi reati appartenenti al “catalogo 231”) alle violazioni degli obblighi previsti in materia di report di sostenibilità.
Questa impostazione genera indubbi riflessi anche sulla compliance 231. Infatti, se allo stato attuale, in vigenza della DNF, non è ipotizzabile il reato di false comunicazioni sociali, con l’avvento della CSRD, cioè a partire dal bilancio relativo all’esercizio 2024, l’applicazione di tale disposizione diverrà effettiva anche in materia di rendicontazione di sostenibilità. La tesi sottesa a questa decisione è che, essendo ormai il report finanziario del tutto integrato con quello di sostenibilità (che viene collocato nella relazione sulla gestione), non vi è motivo per fare distinzioni fra le diverse tipologie e natura delle informazioni ivi contenute.
Dunque, l’eventuale adozione del decreto, così come formulato, espone le imprese al rischio di incappare nel reato di false comunicazioni sociali (si fa presente che per il recepimento della Direttiva UE 2022/2464 c’è tempo fino al 10.09.2024, quale conseguenza della proroga del termine di scadenza della delega di recepimento).
Benché il Modello 231 non sia ancora ampiamente utilizzato, specialmente nelle PMI, lo stesso può rivestire un ruolo fondamentale nel supporto alle decisioni aziendali, orientandole verso attività che creano valore per gli stakeholder in un’ottica ESG. L’imminente inasprimento della responsabilità penale in chiave di gestione delle informazioni sulla sostenibilità aumenterà senza dubbio il fabbisogno di consulenza da parte delle imprese, anche di minori dimensioni, in tema di implementazione e adeguamento dei Modello 231.
Tali strumenti dovranno essere in grado non solo di garantire la tracciabilità dei processi e la valutazione dei rischi e delle responsabilità, ma anche di assicurare la sostenibilità e lo sviluppo delle imprese. In tal contesto il commercialista può assumere un ruolo di primo piano.
La conoscenza delle materie economico aziendali e del diritto d’impresa possono consentire di svolgere con competenza non solo le attività di mappatura dei processi aziendali, ma anche quelle connesse alla elaborazione e adeguamento del modello, garantendo il rispetto degli standard di riferimento, fino allo svolgimento della funzione di organismo di vigilanza.