Accertamento, riscossione e contenzioso
26 Settembre 2024
La circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 18/E/2024 delinea una strategia di compliance a due vie: incentivi per chi aderisce, verifiche potenziate per chi resta fuori.
Il Concordato Preventivo Biennale (CPB) si configura come il nuovo strumento di compliance fiscale introdotto dal governo per favorire l’adempimento spontaneo e migliorare il rapporto tra Fisco e contribuenti. Tuttavia, dietro gli incentivi offerti a chi aderisce, si cela anche un inasprimento dei controlli per chi decide di non partecipare (o ne fuoriesce “in corso d’opera”).
La circolare dell’Agenzia delle Entrate 17.09.2024 n. 18/E tratta in modo approfondito la questione, specificando che, come previsto dall’art. 34, c. 2 del decreto CPB, nei confronti dei contribuenti che non aderiscono al concordato preventivo biennale o che ne decadono, sarà intensificata l’attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza mediante la programmazione di una maggiore capacità operativa.
La circolare chiarisce che gli organi di controllo potranno utilizzare tutte le informazioni contenute nelle banche dati disponibili, anche tramite interconnessione tra loro e con quelle di archivi e registri pubblici, incluse quelle contenute nell’Anagrafe dei conti finanziari. Ciò significa che il Fisco avrà a disposizione un quadro molto dettagliato della situazione patrimoniale e finanziaria dei contribuenti oggetto di verifica.
Questa disposizione rappresenta un chiaro segnale da parte dell’Amministrazione Finanziaria: chi sceglie di non aderire al CPB si espone a un rischio maggiore di finire nel mirino del Fisco. Incrociando i dati provenienti da diverse fonti, sarà più facile individuare eventuali incongruenze o anomalie meritevoli di approfondimento.
L’obiettivo dichiarato è quello di rendere più efficace ed efficiente l’attività di contrasto all’evasione, concentrando le risorse sui contribuenti considerati potenzialmente più a rischio. Al contempo, questa misura funge da deterrente, spingendo indirettamente i contribuenti verso l’adesione al CPB.
Si delinea così una strategia a due facce: da un lato si offrono vantaggi e semplificazioni a chi aderisce al concordato, dall’altro si prospetta un inasprimento dei controlli per chi resta fuori. Una sorta di “bastone e carota” fiscale, che incentiva la compliance volontaria facendo leva anche sul timore di controlli più serrati.
Questa impostazione solleva però alcuni interrogativi. C’è il rischio che si crei una disparità di trattamento tra contribuenti, con potenzialmente un’eccessiva pressione su chi, per varie ragioni, decide di non aderire al CPB. Inoltre, l’intensificazione dei controlli potrebbe tradursi in un aumento del contenzioso tributario, con costi sia per l’amministrazione che per i contribuenti.
D’altro canto, i sostenitori della misura sottolineano come essa possa contribuire a creare un sistema fiscale più equo, in cui chi rispetta le regole viene premiato, mentre aumenta la probabilità di individuare chi evade. L’obiettivo ultimo sarebbe quello di instaurare un circolo virtuoso che porti a una maggiore compliance spontanea.
Un esempio pratico potrebbe essere quello di un professionista che decide di non aderire al CPB. In questo caso, l’Agenzia delle Entrate potrebbe effettuare un’analisi approfondita dei suoi conti correnti, delle sue proprietà immobiliari e dei suoi investimenti, confrontando questi dati con quelli dichiarati e cercando eventuali discrepanze. Qualora emergessero incongruenze significative, il professionista potrebbe essere sottoposto a un accertamento fiscale più dettagliato.