Imposte dirette
14 Novembre 2024
È legittima, secondo la Cassazione, la presunzione di distribuzione di utili occulti in società a ristretta base partecipativa quando emergono da costi effettivamente sostenuti, ma ritenuti indeducibili.
La Corte di Cassazione è tornata a esprimersi sulla presunzione di utili da parte di società a ristretta base sociale, affermando che anche i costi ritenuti indeducibili fanno scattare il meccanismo presuntivo. Lo fa con l’ordinanza 24.09.2024, n. 25559 con la quale esamina e accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate che aveva emesso un accertamento fondato sulla diabolica e ormai nota presunzione di distribuzione ai soci degli utili occulti in una società costituita da 2 soli soci. Tali utili emergevano dalla contestazione di costi non debitamente documentati, ritenuti non inerenti e perciò indeducibili.
Secondo la Suprema Corte, avvalorando quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate, la mancata dimostrazione dell’inerenza dei costi, peraltro non debitamente documentati, inciderebbe sulla determinazione dell’utile d’impresa, in quanto, non potendo essere dedotti dal reddito, determinerebbero maggiori ricavi e dunque maggiori utili. Questo principio interpretativo non è nuovo nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. nn. 1906/2008, 10679/2022 e 25322/2022), ma non per questo può considerarsi sempre logico e coerente. In particolare, nell’ordinanza citata (così come in precedenti pronunce), i giudici di Piazza Cavour assimilano il concetto di costi fittizi con quello di costi indeducibili, anche se sostenuti dall’impresa.
Nel testo dell’ordinanza, infatti, si rinviene la seguente affermazione: “Di recente … questa Corte ha chiarito che anche l’indeducibilità di costi effettivamente sostenuti comporta un inevitabile incremento dell’imponibile e genera un maggior utile, non contabilizzato, al quale non può che applicarsi la presunzione di distribuzione degli utili, in virtù della ristretta compagine sociale”.
Ebbene, questa affermazione è illogica e contraddittoria. Laddove i costi siano stati effettivamente sostenuti, il fatto che “per i più variegati motivi”, come afferma la Cassazione, siano ritenuti indeducibili, non genera affatto quella provvista che fa scatenare il meccanismo presuntivo di distribuzione di utili occulti. Ciò denota un’assoluta confusione tra reddito imponibile e utile d’esercizio.
Il reddito imponibile rappresenta una grandezza di natura fiscale che permette di quantificare l’obbligazione tributaria a carico della società, mentre l’utile dell’esercizio rappresenta una grandezza di natura contabile determinata come differenza tra ricavi e costi di competenza (comprensivi anche delle imposte). Ciò che determina la presunzione di distribuzione degli utili occulti non è il reddito imponibile, bensì l’utile.
Imputare presuntivamente il reddito imponibile, in luogo dell’utile d’esercizio, comporta un’evidente contraddizione nel ragionamento posto a base della presunzione stessa che presuppone sempre l’esistenza di una provvista occulta che permette di presumere la sua ripartizione tra i soci della società a ristretta base.
In conclusione, i costi indeducibili (purché effettivamente sostenuti) non possono essere ricompresi nell’ambito operativo della presunzione, in quanto, in primo luogo, non hanno effetto sul risultato d’esercizio (ma solo sull’imponibile); in secondo luogo, non generano provvista per la distribuzione ai soci (il costo ha avuto come contropartita l’uscita finanziaria in favore del fornitore).