Bandi, agevolazioni, bonus, contributi a fondo perduto
24 Giugno 2021
Centinaia di miliardi di euro in arrivo con la prima emissione di debito targata Bruxelles.
Una situazione straordinaria, come quella determinata dalla pandemia di Covid-19, ha richiesto e richiede misure straordinarie; complessivamente, esse vanno sotto il nome di Next Generation EU, programma da 750 miliardi di euro sul quale il 18.12.2020, Parlamento e Consiglio dell’Unione hanno raggiunto l’intesa finale. L’Italia ha avuto accesso a una quota di 209 miliardi, vale a dire il 27,8% dell’intero importo.
Next Generation Eu (NGEU) è quindi uno strumento per il rilancio dell’economia del vecchio continente, parte di un bilancio settennale 2021-2027 del valore complessivo di circa 1.800 miliardi.
Si impone innanzitutto, crediamo, la necessità di fare un po’ di chiarezza terminologica fra espressioni così presenti sui media da essere spesso confuse:
Next Generation Eu, come detto, è il piano per il rilancio Ue da 750 miliardi. Di questo piano, il cardine è rappresentato dal Recovery and resiliency facility, ovvero il Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza: 672,5 miliardi di euro divisi fra 360 miliardi di prestiti e 312,5 miliardi di sovvenzioni.
Un capitolo a sé è rappresentato poi dai Recovery and resiliency plans, i piani nazionali di ripresa e resilienza (o Pnrr): si tratta dei progetti che i vari Paesi hanno sottoposto a Bruxelles per spiegare in che modo spenderanno le risorse messe a disposizione dagli organismi comunitari.
Il Recovery and resiliency facility rappresenta circa il 90% dei 750 miliardi complessivi di Next Generation Eu. I restanti 75,5 miliardi sono distribuiti fra React Eu (47,5 miliardi), Orizzonte Europa (5 miliardi), Fondo InvestEu (5,6 miliardi), Sviluppo rurale (7,5 miliardi), Fondo per la transizione giusta (10,5 miliardi) e RescEu (1,5 miliardi).
Una novità assoluta, tra le altre, è rappresentata dal fatto che l’intera somma di 750 miliardi di euro verrà raccolta sui mercati con l’emissione di debito comune, garantito in solido da tutti i paesi della Ue.
I piani nazionali devono rispettare dei criteri predefiniti, concentrando progetti di investimento e spesa su alcune aree strategiche (flagship areas): energie pulite e rinnovabili, efficienza energetica degli edifici, trasporti sostenibili, banda larga, digitalizzazione della P.A., sviluppo del cloud e dei processori sostenibili, istruzione e formazione per le skill digitali. Digitale e transizione ecologica fanno la parte del leone: ogni stato deve indirizzare almeno il 37% della spesa a questioni climatiche e almeno il 20% alla transizione digitale.
Il Piano italiano presentato dal Governo Draghi e approvato proprio in queste ore dalla Commissione europea ha un valore complessivo di 248 miliardi di euro: 191,5 miliardi dal Pnrr, 30,6 miliardi da un Piano complementare predisposto dal Governo e altri 26 miliardi da destinare alla realizzazione di opere specifiche. Le voci di spesa più significative, in coerenza con le linee guida di Bruxelles, sono rivoluzione verde e transizione ecologica (destinataria del 40% delle risorse, pari a 68,6 miliardi di euro), digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (il 27%, pari a 49,2 miliardi) e inclusione e coesione sociale (il 10%, l’equivalente di 22,4 miliardi di euro).
Il Governo dovrà rispettare una tabella di marcia che concentra nell’arco di un biennio tutte le riforme previste nel piano.
Promosso a pieni voti dagli organismi comunitari (10 “A” e una sola “B”, relativa alla voce “costi”), il nostro Piano secondo Bruxelles rappresenta una risposta completa e adeguatamente equilibrata alla situazione economica e sociale del nostro Paese e contribuisce in modo appropriato ai sei pilastri elencati nel regolamento sul dispositivo per la ripresa e la resilienza. La decisione dovrà ora essere adottata dal Consiglio UE in maniera tale da erogare al nostro Paese 24,9 miliardi di euro di prefinanziamento, vale a dire il 13% dell’importo totale stanziato a nostro favore.
Al di là di questo ulteriore passaggio formale, rimangono tuttavia alcune perplessità legate alle modalità di spesa dei fondi da parte dei singoli Paesi.
L’obiettivo principale di Next Generation EU è quello di rimettere in moto l’economia continentale; ma se l’emissione di debito comune è stata una svolta radicale per l’integrazione economica dell’Unione, essa potrebbe diventare anche la causa di fratture ancora più profonde di quelle che stanno già facendo vacillare la costruzione comunitaria, minata – tra l’altro – dalle polemiche sulla gestione della campagna vaccinale.
Un motivo di dissidio potrebbe nascere su come i singoli paesi decidono di investire le proprie risorse, argomento sensibile soprattutto per i Paesi cosiddetti “frugali” del centro-Nord: Austria, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi potrebbero voler dire la loro su un uso troppo disinvolto dei fondi Ue da parte dei paesi che hanno ottenuto le quote più cospicue di risorse, tra cui l’Italia.
Tra gli “osservati speciali” in questo senso ci sono economie come quella della Spagna e ovviamente dell’Italia, con i suoi oltre 200 miliardi di euro in arrivo.
La discriminante in tal senso è rappresentata quindi, oltre che dalla qualità dei piani presentati a Bruxelles, anche alla capacità di attuarli in tempi ragionevoli.