Associazioni sportive dilettantistiche e Sport
12 Ottobre 2022
L’art. 26, c. 1, lett. a), punto 6) del decreto Semplificazioni risolve, a livello normativo, il problema della non commercialità dei corrispettivi specifici versati dei soci delle associazioni del Terzo settore.
L’art. 79, c. 6 D.Lgs. 117/2017 si riferisce agli enti associativi, con particolare riferimento ai rapporti e alle attività svolte nei confronti dei propri associati e dei loro “familiari conviventi” (secondo la correzione dell’art. 26 del decreto Semplificazioni), in conformità alle finalità istituzionali (che vengono considerate non commerciali). Nella versione originaria del D.Lgs. 117/2017 erano non imponibili le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi (che non concorrono alla formazione dei redditi di tali enti); viceversa, costituivano attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dietro corrispettivi specifici nei confronti degli associati o dei loro “familiari conviventi”, comprese le quote differenziate determinate in ragione di maggiori prestazioni a cui i soci hanno diritto. I relativi proventi concorreranno alla determinazione del reddito imponibile con diverse modalità, a seconda del regime applicabile (reddito di impresa o redditi diversi).
In alternativa, qualora l’ente abbia i requisiti di ETS non commerciale, si potrà optare per la determinazione forfettaria dell’imponibile (art. 80 del CTS).
Come si vede, la disposizione ricalca il tenore dell’art. 148, cc. 1 e 2 del Tuir che, peraltro, viene disapplicato, per gli enti in questione, dall’art. 89, c. 1, lett. a) del Codice del Terzo settore. Notiamo, anzitutto, che la norma sembra applicarsi a tutti gli ETS (siano essi commerciali o non commerciali), a differenza della disciplina del Tuir (art. 148), che riserva l’agevolazione in parola agli enti non commerciali.
Il problema che a questo punto si pone ai fini delle imposte dirette è se la presunzione di natura commerciale dei corrispettivi specifici versati dall’associato dell’ente del Terzo settore (diverso dalle associazioni di promozione sociale), abbia natura assoluta, o sia comunque subordinato al test di commercialità dell’attività previsto dall’art. 79, c. 2 del CTS. In altre parole, era sorta da subito l’esigenza di precisare che le attività svolte dagli enti di tipo associativo nei confronti dei propri associati continuano a considerarsi non commerciali anche quando effettuate dietro pagamento di corrispettivi specifici, se si tratta di attività di cui all’art. 5, e la corrispettività è quella di cui ai commi 2 e 2-bis. In effetti, proprio questa trasposizione, quasi automatica, della disciplina del Tuir nel Codice del Terzo settore rischia di creare una differenza tra gli enti del Terzo settore che appare ingiustificata per diversi motivi.
Può, infatti, accadere che una stessa attività di interesse generale debba ritenersi commerciale se svolta da un’associazione di cui all’art. 79, c. 6, mentre è da considerare non commerciale se svolta da un altro ente del Terzo settore, nel momento in cui i costi effettivi di essa superano i corrispettivi (art. 79, c. 2).
Tra l’altro, chi propende per la seconda soluzione osserva che, se i corrispettivi specifici realizzati nei confronti degli associati fossero considerati commerciali senza che fosse possibile definire la loro natura sulla base del test di commercialità di cui all’art. 79, c. 2, questo pregiudicherebbe anche ai fini Iva il trattamento agevolato.
Molto opportunamente, al fine di evitare che la norma in esame finisca per riservare un regime discriminatorio per gli ETS associativi, rispetto a tutti gli altri ETS, interviene sul punto il già citato art. 26 D.L. 73/2022, il quale precisa che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati e dei familiari conviventi verso pagamento di corrispettivi specifici si considerano commerciali, “salvo che le relative attività siano svolte alle condizioni di cui ai commi 2 e 2-bis”.