Accertamento, riscossione e contenzioso
26 Maggio 2022
La richiesta di parere al MISE tra facoltà e obbligo.
Fioccano come neve in tutto il Paese gli atti di recupero di crediti d’imposta per ricerca e sviluppo con conseguente alimentazione di notevole contenzioso presso le Commissioni tributarie. Si tratta di giudizi di merito, considerato che la materia è tanto recente da non aver ancora consentito la formazione di giudizi di legittimità presso la Suprema Corte.
Nel complicato quadro normativo, dettato soprattutto dalle incertezze operative e dalla complessità che la materia presenta già per sua natura, un elemento che sta facendo discutere è quello legato all’opportunità che l’Agenzia delle Entrate richieda al MISE un parere tecnico sull’ammissibilità dei progetti posti a fondamento delle spese oggetto di bonus.
La questione nasce a causa di una norma che non ha sancito un espresso obbligo per l’Amministrazione Finanziaria di ricorrere al parere del MISE che, tuttavia, è l’unico organo dotato di competenza specifica sulla materia in commento. Ne consegue che gli accertamenti sono in gran parte stati emessi con criteri arbitrari e con motivazione del tutto apparente, considerato che i funzionari dell’Agenzia delle Entrate (e questo è un dato di fatto) non possono avere una competenza specifica sul tema e perciò riesce difficile capire come possa un accertamento essere adeguatamente motivato se non poggia su basi scientifiche richieste dalla natura dell’agevolazione.
Recentemente, la C.T.P. di Napoli (sent. 4988/2022) ha sancito che, per contestare il credito d’imposta per spese di ricerca e sviluppo, il Fisco deve chiedere il parere al MISE, pur in assenza di una specifica norma al riguardo. In buona sostanza, si riconosce che, sul piano formale, tale parere costituisce una facoltà e non un obbligo, ma diventa un atto necessario dal momento che ogni accertamento deve essere adeguatamente motivato e la motivazione non può che essere meramente apparente se di fronte a problematiche di grande complessità come quelle in questione non si fonda su valutazioni da parte di organismi tecnici.
Sulla stessa scia si allineano anche la C.T.P. di Vicenza (sent. 365/2021) e la C.T.P. di Ancona (sent. 392/2021). Di parere opposto, invece, una recente sentenza della C.T.P. di Prato (sent. 69/2022).
A complicare il quadro, vi sono le vicende legate ai provvedimenti che si sono succeduti nel tempo di vigenza dell’agevolazione. Ci riferiamo, in particolare, all’applicazione del Manuale di Oslo, prima, e del Manuale di Frascati, successivamente. Si tratta di manuali internazionali, dei quali esiste una traduzione in lingua italiana solo da alcuni giorni, che contengono le linee guida per definire il concetto di ricerca e sviluppo e che sono richiamati dal Fisco negli atti impositivi. In sintesi, il Manuale di Oslo, secondo il MISE, è da ritenersi in vigore dal 2015 e fino al 2018, anno in cui entra in scena il Manuale di Frascati.
Secondo il primo manuale, l’attività di ricerca e sviluppo era da ritenersi ammissibile quando la stessa, rispetto alle condizioni di partenza, determinava novità sostanziali o migliorie ai prodotti, anche facendo riferimento alla sola realtà aziendale. Nel secondo manuale, si faceva invece riferimento ad un concetto di ammissibilità legato all’ottenimento di sostanziali benefici e novità rispetto allo stato dell’arte. Sul punto, la C.T.P. di Aosta ha ritenuto che l’innovazione possa comunque riferirsi a novità anche solo per l’impresa richiedente. Le questioni non sono di poco conto, considerato il pesante quadro sanzionatorio.