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29 Giugno 2022
Disciplina fiscale del conferimento di studio professionale: le divergenti letture interpretative dell’Agenzia delle Entrate.
La necessità di aggregazione è quanto mai sentita nel mondo professionale a causa della crescente complessità nello svolgimento dell’attività, specie nel comparto fiscale societario.
In questo senso i percorsi che possono portare a trasformare una realtà individuale in un’aggregazione societaria dovrebbero essere favoriti dal legislatore, il che non accade (basti pensare alla recente norma che esonera da Irap i soli professionisti individuali, mentre restano imponibili le attività svolte in forma associata); inoltre, si aggiungono interpretazioni quantomeno ondivaghe dell’Agenzia delle Entrate su tematiche fondamentali per le quali (tra l’altro) non vi sono modifiche normative che autorizzano un mutamento di indirizzo.
Una prova concreta di tale scenario è rappresentata dal conferimento dello studio professionale in una realtà societaria. Tale operazione si presenta estremamente delicata, poiché l’oggetto del conferimento non è un’azienda (operazione che sarebbe tutelata dalla neutralità fiscale ex art. 176 Tuir) e quindi sullo sfondo si pone l’assimilazione conferimento/cessione. Questa assimilazione comporterebbe l’applicazione dell’art. 54, c. 1-quater Tuir, che definisce reddito da lavoro autonomo le somme incassate per la cessione della clientela (pur con l’attenuante della tassazione separata ex art. 17, c. 1, lett. g-ter Tuir se le medesime somme sono incassate in unica soluzione). È di tutta evidenza, però, che sotto il profilo sostanziale (e quindi sul piano della capacità contributiva) un conto è monetizzare una realtà professionale incassando somme da terzi, altro è semplicemente trasferire questa realtà a un soggetto societario nel quale il conferente è socio.
Proprio in funzione di tale innegabile differenza, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risoluzione 9.07.2009, n. 177/E, con la quale è stato esaminato un conferimento di studio professionale nel quale, in cambio del trasferimento dello stesso studio a una realtà professionale associata, il conferente riceveva una quota della medesima realtà. Il tema da valutare era capire se il fatto che l’entità di tale quota fosse condizionata della dimensione dello studio conferito e potesse comportare l’assimilazione tra quota ricevuta e corrispettivo ricevuto per apporto della clientela (con conseguente applicazione dell’art. 54, c. 1-quater Tuir).
Ebbene, in quella occasione l’Agenzia delle Entrate ha negato tale assimilazione, concludendo che, nel caso in cui il conferente in sede di apporto non avesse ricevuto denaro, né si fosse prevista una remunerazione in caso di suo futuro recesso, l’operazione non sarebbe stata considerata produttiva di materia imponibile per il conferente.
Alla luce di tale precedente, risulta incomprensibile la successiva pronuncia, emessa con la risposta all’interpello n. 107/2018, con la quale è enunciata l’ipotesi di una trasformazione di studio associato (società semplice) in società in accomandita semplice.
L’Agenzia ritiene che questa operazione configuri una trasformazione eterogenea ex art. 171, c. 2 Tuir, di fatto assimilabile a un conferimento di beni, e proprio qui emerge la diversa lettura rispetto alla risoluzione n. 177/E/2009: il conferimento produrrebbe reddito da lavoro autonomo ex art. 54 Tuir, senza citare in alcun modo il diverso orientamento del 2009. È evidente che tutto ciò provoca sconcerto e confusione tra i contribuenti.