Imposte dirette
11 Gennaio 2022
La legge di Bilancio 2022 modifica la disciplina dell’ammortamento di marchi e avviamento rivalutati o riallineati, con una disposizione molto penalizzante e anche difficile nell'applicazione pratica.
La legge di Bilancio 2022 ci consegna una previsione normativa in materia di revisione della fiscalità per operazioni di rivalutazione o riallineamenti di marchi e avviamento, che nasce veramente in modo infelice. Non solo si tratta di una previsione molto penalizzante e totalmente lesiva del principio di affidamento del contribuente, modificando a rivalutazione già avvenuta gli effetti pluriennali della medesima rivalutazione, ma è anche difficile se non impossibile applicare alcune
sue parti.
Come è noto, l’art. 1, c. 622 della legge di Bilancio 2022 stabilisce che l’ammortamento del maggior valore del marchio rivalutato/riallineato o dell’avviamento riallineato sia deducibile in 50 anni, contro gli originari 18 anni. La norma incide anche sulla minusvalenza generata per effetto della cessione del bene immateriale a titolo oneroso e riguarda anche la deducibilità del costo in capo a colui che acquista il bene. È proprio questo secondo profilo, cioè quello dell’acquirente, che risulta di difficile se non impossibile attuazione.
Infatti, per eseguire una corretta deduzione dell’ammortamento, l’acquirente deve necessariamente farsi consegnare i dati dal cedente, senza che la norma disponga un profilo sanzionatorio se tali dati non vengono consegnati, né stabilisca le responsabilità del cedente se a posteriori i dati risultino errati e venga rettificata la quota deducibile dell’ammortamento dell’acquirente. Questa lacuna normativa sarà probabilmente colmata da un intervento interpretativo dell’Agenzia delle Entrate, ma non si vede come si possa obbligare il cedente a fornire dati personali all’acquirente. Si rende pertanto necessario agire in sede normativa per regolare le conseguenze sopra citate.
Vediamo di analizzare concretamente la posizione dell’acquirente di un marchio rivalutato con la L. 104/2020. Dunque, costui per gestire la deducibilità del proprio processo di ammortamento deve conoscere il residuo da ammortizzare del maggior valore rivalutato, al netto della minusvalenza realizzata. Se ipotizziamo che il marchio rivalutato sia stato ceduto dopo che siano passati 6 anni dalla rivalutazione, per 600 euro e che nell’ambito delle cessione del bene il cedente abbia realizzato una minusvalenza di 320 euro interamente deducibile nel periodo cinquantennale, l’acquirente deve assumere il dato residuo del maggior valore rivalutato (ipotizziamo 880), portarlo al netto della minusvalenza (880-320 = 560) e dedurre quote d’ammortamento in 44 anni (essendo stato venduto il bene dopo 6 anni dalla rivalutazione), mentre avendo egli pagato il marchio 600, la differenza, cioè 40, viene dedotta in 18 anni.
Invece, qualora la minusvalenza sia superiore al residuo da ammortizzare del maggior valore rivalutato, il cessionario potrà dedurre il costo sostenuto nei “normali” 18 anni, poiché la minusvalenza sarà stata dedotta dal cedente nel processo temporale lungo dei 50 anni.
È di tutta evidenza che la complicazione insita in questa scelta normativa rende la norma difficilmente applicabile. Ma anche le correlazioni che governano le diverse regole civilistiche e fiscali rendono l’intervento programmato di difficile applicazione. Basti pensare che un periodo di ammortamento fiscale così lungo mai si concilierà con un piano sistematico di ammortamento civilistico che possa tenere effettivamente conto della vita utile del bene, con le dannose conseguenze in tema di doppio binario.