Lettera del direttore ·
30 Maggio 2024
Corsa affannosa all’uso dell’intelligenza artificiale e successo del settore del mobile che punta ancora allo spirito artigiano in chiave moderna. Alcune cose sembrano non tornare nelle attuali tendenze dello sviluppo economico, almeno quello italiano.
Metto insieme qualche impressione che, forse, non fa teoria, ma che ha legami forti con altre da cogliere. Considero, per esempio, l’indubbio successo del Salone del Mobile come espressione di grande creatività, frutto di genialità ancora dentro dimensioni contenute, di nuove abilità artigianali tecnologicamente agili, più ricettive di altre innovazioni. E considererei questo settore ancora nella categoria “mani”, all’interno cioè di quel grande miscuglio di idee e manualità (manualità rivisitata) che fa dell’artigianato creativo un notevole e persistente punto di forza del sistema produttivo italiano.
Sembra assodato anche nella letteratura economica uno spostamento di centralità produttiva dal nord-ovest al nord-est. Che significa, alla fine, difficoltà per la grande industria e ritorno alla vivacità delle piccole-medie dimensioni proiettate sul mondo. E ancora, una rivisitazione dei cambiamenti che hanno interessato gli storici distretti industriali, dati quasi per morti o moribondi e capaci, invece, di rifunzionalizzarsi, di cambiare magari le reti interne per sfidare di nuovo i mercati grazie a inedite conformazioni produttive e conseguente creatività sui prodotti.
Certo è che la fotografia dei distretti è cambiata. I processi di verticalizzazione interni non sembrano avere intaccato quella capacità originale di coniugare forza produttiva e intensa circolazione delle idee e delle innovazioni. Insomma, di tenere insieme lo spirito artigianale con quello industriale.
Ecco poi affacciarsi la grande e ancora in gran parte sconosciuta opportunità dell’Intelligenza Artificiale. Non credo che potrà sostituire la parte artigianale del processo produttivo o, almeno, lo spero, poiché temo, altrimenti, un incontrovertibile appiattimento di creatività.
Certo è che l’IA sembra fare presa soprattutto sulle piccole e medie imprese. Nel 2022 le piccole imprese italiane erano al 12° posto in Europa per adozione di tecnologie legate all’IA. Le grandi imprese erano registrate invece al 14° posto. Ancora posizioni arretrate per l’Italia che sembra avere accelerato ultimamente, incanalandosi verso un tasso di crescita dell’IA attorno al 40% annuo fino al 2030.
Gli studi professionali sono già attivi nel 70% dei casi con iniziative, più o meno approfondite, di implementazione di IA, con il 77% dei professionisti consapevole di una trasformazione rivoluzionaria nella loro professione. Percentuali alte di fiducia anche nei contenuti proposti dall’IA, che arriva all’82% (fonte: Ambrosetti e TeamSystem).
Il dilemma rimane, appunto, quello di come le potenzialità indubbie dell’IA potranno rapportarsi con le modalità consolidate della creatività che alimenta gran parte dell’originalità della produzione italiana riconosciuta nel mondo. Processo che va dal piccolo al grande e poi ritorna come ispirazione e consolidamento.
Leggo di alcuni manager o creativi o ricercatori (non molti, ma sempre più) che sentono il bisogno quasi fisiologico di fare qualcosa di manuale, come se fosse una specie di compensazione terapeutica a un lavoro solo intellettuale. C’è chi si ritrae completamente e ritrova pace nell’orto o nell’allevamento e chi invece riesce a costruire un equilibrio tra teoria e manualità.
Credo che sia necessaria una stretta sorveglianza, nei processi innovativi che prevedono una delega troppo ampia a forme di intelligenza autonomizzate e che le mani in pasta il nostro cervello debba sempre averle.
Cervello e mani. Il resto sono strumenti.