Imposte dirette

14 Maggio 2024

Per la Cassazione è indeducibile la differenza da recesso da S.r.l.

L’onere sopportato dalla società è da qualificare come un’anticipata liquidazione di redditi futuri derivanti anche dall’esistenza di plusvalenze latenti sui beni dell’attivo e da valori di avviamento e, in quanto tale, indeducibile dal reddito d’impresa (Cass., ord. n. 10815/2024).

Preliminarmente può essere opportuno ricordare che il Tuir non disciplina espressamente il trattamento fiscale delle somme che sono corrisposte dalle società di persone a favore del socio che recede. La questione costituisce da sempre un argomento largamente dibattuto che, nel corso del tempo, ha determinato diversi e contrastanti orientamenti espressi da parte dell’Amministrazione Finanziaria (si vedano la nota della Direzione regionale delle Entrate per l’Emilia Romagna 29.06.2007, n. 38696, la nota della Direzione regionale della Lombardia 6.03.2007, n. 11489, la risoluzione ministeriale 24.05.1995, n. 127/E e la circolare ministeriale 17.05.2000, n. 98/E).

Nella risoluzione 25.02.2008, n. 64/E l’Agenzia delle Entrate ha espressamente riconosciuto (coerentemente con la contestuale tassazione di questa somma, in qualità di reddito da partecipazione, in capo al socio e, conseguentemente, al fine di evitare una doppia tassazione ai sensi dell’art. 163 del Tuir) la deducibilità della differenza di recesso erogata a favore del socio uscente da parte di una società di persone. Nello specifico, in questa sede è stato ritenuto opportuno distinguere tra:

  • l’importo afferente alla quota di patrimonio netto spettante al socio in proporzione alla quota di partecipazione posseduta (costituito dal rimborso della quota di capitale sociale versato dal socio e dalla distribuzione delle riserve, sia di utili sia di capitale, eventualmente esistenti). È irrilevante ai fini della determinazione del reddito imponibile (costituendo un’operazione di natura esclusivamente patrimoniale);
  • l’importo relativo al riconoscimento dell’eventuale maggior valore economico del complesso aziendale alla data dello scioglimento del rapporto sociale rispetto ai valori contabili del patrimonio netto (differenza di recesso). Costituisce un componente reddituale negativo deducibile in capo alla società e tassabile in capo al socio (la possibilità di dedurre tale differenza, come chiarito dalla risoluzione n. 64/E/2008, è basata sul presupposto che la società provveda a liquidare al socio che recede un importo in denaro e che, quindi, il plusvalore latente, liquidato al socio recedente, resti insito nel patrimonio sociale dopo il recesso). Nella risposta all’interpello n. 904-1418/2020, la DRE della Lombardia ha riconosciuto che, in caso di recesso del socio da una società di persone, la riserva di rivalutazione in sospensione d’imposta (nel caso specifico derivante da una precedente rivalutazione degli immobili in cui è stata pagata l’imposta sostitutiva per ottenere la rilevanza fiscale ma non quella per affrancare la riserva) non deve essere ricompresa tra le “riserve di utili e di capitale” da assumere come distribuite nell’ambito della liquidazione della quota, ma può rimanere a patrimonio netto.

Così operando, la “differenza da recesso” può essere calcolata considerando la restante parte del patrimonio netto (in proporzione alla quota di patrimonio detenuta dal socio recedente); l’importo non “coperto” patrimonialmente diviene costo deducibile nell’esercizio in cui viene esercitato il recesso (non ai fini Irap). In capo al socio sarà tassata la differenza tra il corrispettivo del recesso e il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione, quale reddito di partecipazione (quadro RH) o, in presenza del requisito temporale, quale reddito a tassazione separata (quadro RM).

Viceversa, qualora la società dalla quale il socio recede sia una società di capitali, in capo al socio la differenza tra valore della partecipazione (qualificata o non) e il costo fiscalmente riconosciuto rappresenta un dividendo tassato in misura pari al 26% (circ. Agenzia delle Entrate n. 26/E/2004). In questo caso, in capo alla società di capitali erogante, a differenza di quanto visto per le società di persone, nessun chiarimento specifico ha riconosciuto, ai fini Ires e Irap, la possibilità di dedurre la differenza di recesso.

Ordinanza della Corte di Cassazione – Nell’ordinanza 22.04.2024, n. 10815 la Corte di Cassazione si è per la prima volta espressa in merito alla deducibilità della differenza da recesso liquidata da una S.r.l. a favore del socio uscente. Nel caso di specie, nel corso dell’anno 2005, due soci provvedevano a recedere parzialmente da una S.r.l. (dal 20% al 10%), conservando la titolarità di quote societarie. Pertanto, la società riconosceva ai soci quanto dovuto in conseguenza del recesso. In particolare, la somma riconosciuta veniva calcolata sommando al valore della quota di patrimonio oggetto di recesso, una differenza calcolata mediante perizia di stima, avente la funzione di rapportare il patrimonio nominale al valore di mercato: Questa differenza veniva qualificata come “costo” deducibile nella dichiarazione dei redditi della società. A fronte di quanto sopra, l’Agenzia delle Entrate notificava alla Srl un avviso di accertamento, rettificando il reddito dichiarato ai fini Ires e Irap, in relazione all’anno 2005 mediante il disconoscimento della deducibilità fiscale del costo da recesso dedotto.

Dopo 2 gradi di giudizio già favorevoli al contribuente, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’accertamento sulla base dei seguenti principi di carattere generale:

  • in caso di recesso l’importo liquidato al socio receduto da una S.r.l. deve essere calcolato (ex art. 2473, c. 3 c.c.) in funzione del valore di mercato della sua quota di partecipazione al patrimonio sociale nel momento del recesso. Nel caso in cui l’ammontare risulti superiore al valore della corrispondente quota del patrimonio netto contabile, questa differenza (che può derivare dal valore dell’avviamento, da plusvalenze latenti sui beni dell’azienda sociale, dalla partecipazione agli utili inerenti alle operazioni in corso alla data del recesso) rappresenta la “differenza da recesso”. Pertanto, la somma corrisposta al socio uscente a seguito della liquidazione della sua quota si può quindi considerare costituita da due componenti:
    • la prima, consistente nel rimborso della quota di capitale sociale versata dal socio e nelle eventuali riserve, sia di utili sia di capitale, a lui distribuite;
    • la seconda, derivante dall’eventuale maggior valore economico della società al momento del recesso rispetto al valore contabile del patrimonio netto, ciò che rappresenta la cosiddetta “differenza da recesso” (Cass. sez. V, 14.9.2021, n. 24671);
  • nel caso in cui il recesso non venga effettuato mediante l’acquisto delle quote da parte degli altri soci, il rimborso deve essere effettuato utilizzando le riserve disponibili ovvero, in mancanza, riducendo il capitale sociale (diversamente, nel caso in cui non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto, la società deve essere posta in liquidazione).

In considerazione di quanto sopra, la Cassazione ha quindi concluso che, nel caso specifico, la società aveva violato la normativa civilistica, perché il rimborso delle quote ai soci (parzialmente) receduti era stato effettuato senza utilizzare (se non in minima parte) le riserve disponibili, sebbene le stesse fossero interamente capienti; in questo modo, violando la normativa civilistica, il conto economico della società era stato gravato attraverso la rilevazione di un “costo” poi fiscalmente dedotto.

Con l’orientamento espresso la Corte di Cassazione ha, forse per la prima volta, risolto il contrasto interpretativo non convalidando per le società di capitali lo stesso trattamento fiscale previsto per le società di persone (ricordiamo che, in senso favorevole alla deducibilità delle somme da recesso da società di capitali in precedenza si erano espresse Assonime, con la circolare n. 32/2004, par. 5, e la sentenza della C.T.P. di Roma 13.11.2017, n. 24020).

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