Agricoltura ed economia verde
06 Maggio 2024
Il proliferare dei birrifici artigianali può creare confusione nell’identificazione di quegli imprenditori che possono definirsi “agricoli”, in quanto produttori delle materie prime per il mezzo di un’attività agricola principale seguita da un’attività connessa di trasformazione.
Tutto nasce dal D.M. 212/2010, per il mezzo del quale la birra è entrata a fare parte dei beni che, fiscalmente, possono essere oggetto delle attività agricole connesse di cui all’art. 32, c. 2, lett. c) del Tuir, acquisendo pertanto il requisito di prodotto agricolo.
Tale situazione ha generato, da un punto di vista lessicale e commerciale, una certa confusione soprattutto in seguito al D.D.L. 1328-B/2016 che ha definito i confini dei birrifici artigianali. Il citato D.D.L. recita: “si definisce birra artigianale la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e microfiltrazione. Ai fini del presente comma si intende per piccolo birrificio indipendente un birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che utilizzi impianti fisicamente distinti da quelli di qualsiasi altro birrificio, che non operi sotto licenza e la cui produzione annua non superi i 200.000 ettolitri, includendo in questo quantitativo le quantità di prodotto per conto terzi”.
La confusione deriva dal fatto che il predetto riconoscimento di prodotto agricolo e la successiva definizione di birra artigianale porta ad assimilare le 2 situazioni, facendo di fatto un connubio diretto tra birra artigianale e agricola. Nella realtà, la distinzione è marcata e sicuramente una produzione di birra in ambito agricolo rispetta i limiti e le caratteristiche della produzione artigianale di birra come da definizione del D.D.L., ma oltre a tali parametri deve altresì rispettare quelli relativi alla definizione di attività agricola connessa di cui all’art. 2135, c. 3 c.c.
Produrre birra in ambito agricolo significa infatti che l’azienda agricola, perché di questo si tratta, deve svolgere l’attività agricola principale tramite la quale coltivare e produrre, in via prevalente, i prodotti agricoli necessari alla produzione della birra quali orzo, luppolo, ecc., per poi procedere all’attività agricola connessa di trasformazione, qual è la produzione di birra, che deve essere intrapresa dal medesimo soggetto che svolge l’attività agricola principale.
Il concetto di prevalenza, anche in questo ambito, è quello di cui alla circolare n. 44/E/2002 che rimanda ad un criterio quantitativo per i prodotti dello stesso comparto agronomico (orzo con orzo – luppolo con luppolo) oppure a un criterio basato sul valore, nel caso di prodotti non omogenei.
Nell’ambito brassicolo, tale situazione di prevalenza di valore del prodotto proprio rispetto al prodotto acquistato da terzi è di attualità in quanto molte aziende agricole che producono birra coltivano l’orzo ma non il luppolo che, seppure utilizzato in quantità decisamente inferiori rispetto all’orzo, ha un valore molto più alto che rischia di compromettere la prevalenza come definita dalla citata circolare.
Da questa breve analisi si comprende quindi come birra artigianale e birra agricola non sono sinonimi ma, nonostante debbano sottostare alle stesse limitazioni in tema di processi di pastorizzazione e microfiltrazione così come a quelle quantitative, derivano da attività molto diverse.
Le birre artigianali, non agricole, sono infatti prodotte con materie prime interamente acquistate sul mercato e la determinazione del reddito di tale attività soggiace alle regole del reddito d’impresa. Nel caso delle birre prodotte in ambito agricolo, invece, le materie prime devono essere in prevalenza approvvigionate dall’attività agricola e, rispettato tale requisito, il reddito è interamente ricompreso nel reddito agrario dei terreni condotti ai sensi dell’art. 32 del Tuir.