Diritto privato, commerciale e amministrativo
09 Marzo 2022
La confisca di immobili, precedentemente donati dal reo di frode fiscale ai figli, non può ritenersi validamente praticabile se non è provata la disponibilità dei cespiti in capo al condannato.
Nel D.Lgs. 74/2000 è contenuta una disposizione, in seno all’art. 12-bis, secondo cui viene sancito che, in ipotesi di intervenuta condanna, od anche di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. “patteggiamento”) in ordine a un reato tributario, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Qualora la confisca diretta non sia possibile, si può anche procedere alla confisca di beni, per un valore corrispondente al profitto, di cui il reo abbia la disponibilità. In pratica, viene ammessa l’esecutività di procedure di sottrazione di beni, tramite la confisca per equivalente, purché si riescano ad individuare dei beni di cui si possa provare la disponibilità da parte del reo.
L’aspetto controverso della questione prospettata attiene alla circostanza che vede dei beni intestati a terzi, rispetto ai quali si discute se, ed in che termini, possa operare l’esecutività di un’eventuale misura ablatoria. Rileva, quindi, in tale ipotesi la corretta definizione del concetto di “disponibilità” dei beni, interessati da un eventuale provvedimento esecutivo.
Il rigore della previsione che consente la confisca risulta essere espressamente mitigato dalla circostanza che non deve trattarsi di beni appartenenti a soggetti terzi, pienamente estranei rispetto alla configurazione dell’illecito contestato, sempre che non si abbia la disponibilità di riscontri probatori che consentano di ricondurne la disponibilità dei cespiti presi in considerazione in capo al condannato.
Intervenendo su tale delicata tematica, la Cassazione (sentenza 9.02.2022, n. 4456) ha approfondito il concetto di disponibilità dei beni, ribadendo un articolato criterio secondo cui questa deve essere intesa, non in termini di formale titolarità, ma di libera relazione materiale con il bene.
In pratica, per l’esperibilità della confisca per equivalente, la “disponibilità” del bene, quale presupposto del provvedimento ablatorio, non deve ritenersi coincidente con la nozione civilistica di proprietà, ma con quella più ampia di possesso, la quale abbraccia tutte quelle fattispecie in cui il bene eventualmente oggetto di contestazione ed esecuzione, ricada comunque nella sfera degli interessi economici del reo, benché il potere dispositivo su di esso sia poi di fatto esercitato tramite intestazioni a terze persone. Ciò vuol dire che, nonostante la titolarità della proprietà sia assegnata formalmente a terzi, il rapporto tra il reo e il bene possa essere ricondotto in una connessione parificabile, in termini di effetti, all’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà.
Nella circostanza oggetto di intervento, tuttavia, gli Ermellini non risultano essersi pronunciati per confermare la validità della confisca ma, al contrario, per inficiarne la validità. Nel caso in commento, infatti, risultavano essere stati assoggettati alla procedura ablatoria dei cespiti immobiliari che solo originariamente facevano capo al reo, in quanto da questi donati ai propri figli, in un momento antecedente rispetto al sequestro, ovverosia 8 mesi prima che su di essi cadesse il sequestro preventivo. Ebbene in tal caso, non risultavano fornite prove idonee a dimostrare la natura meramente fittizia ed apparente delle predette cessioni e la conseguente prova di “non veridicità” della effettività delle intestazioni dei beni in questione in favore di terzi estranei al reato.