Diritto del lavoro e legislazione sociale
21 Febbraio 2020
Una sentenza della Cassazione conferma la rilevanza penale di questi comportamenti.
Se nel proprio ambiente di lavoro si è soliti fare battute spinte, allusioni sessuali, domande indiscrete alle colleghe, forse è opportuno prestare attenzione e pensarci due volte. È quanto si ricava dalla recente sentenza n. 1999/2020, con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un anno e 7 mesi di reclusione inflitta dalla Corte d’Appello di Bologna all’imputato per le sue particolari “attenzioni” nei confronti di 2 stagiste appena assunte.
In realtà, le condotte illecite finite sotto la lente d’ingrandimento degli Ermellini sono più di una: si va dall’episodio ripreso dalle telecamere in cui si vede l’imputato trascinare nel camerino una delle 2 ragazze, chiudere la porta e trattenersi qualche secondo, fino ai palpeggiamenti dei glutei e dell’interno coscia con una certa insidiosità e rapidità. Entrambi questi comportamenti sono stati ricondotti alla fattispecie di violenza sessuale prevista dall’art. 609-bis c.p. che così recita: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione fino a 12 anni”.
La Suprema Corte ha però attribuito rilevanza penale anche ad altri atteggiamenti, decisamente più lievi, come battute insistenti a sfondo sessuale o domande molto personali del tipo “che taglia di reggiseno avete?”, che l’imputato ha cercato inutilmente di minimizzare, presentando l’accaduto alla stregua di un semplice gioco. I giudici, invece, hanno elevati tali atteggiamenti a rango di molestie nei confronti delle vittime, inquadrandoli nell’art. 660 c.p., un reato molto meno grave del precedente e che prevede delle pene notevolmente inferiori (arresto fino a 6 mesi).
Quindi, pur essendo delimitati da una linea di confine spesso incerta ed evanescente, i due reati presentano una portata molto diversa, dal momento che il primo si connota per un contatto fisico forzato, il secondo, invece, sfocia in gesti, commenti o affermazioni che disturbano la sfera intima della vittima.
Passando dai profili penalistici a quella più squisitamente giuslavoristici, è opportuno rimarcare la normativa di maggior tutela introdotta non molto tempo fa a favore delle lavoratrici (o dei lavoratori) che intendano agire in giudizio perché vittime di molestie sessuali.
La legge di Bilancio del 2018, infatti, modificando il Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna, ha sancito che costoro non possono esser licenziate(i), demansionate(i), trasferite(i), sottoposte(i) a procedimento disciplinare o altre misure organizzative negative. Contestualmente, la parte datoriale ha l’obbligo di assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità e la dignità del proprio personale dipendente, al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro.