Diritto privato, commerciale e amministrativo
08 Gennaio 2024
Ai fini della valutazione dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile e del contributo del beneficiario dell’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune deve essere preso in considerazione anche il periodo della convivenza prematrimoniale.
La convivenza prematrimoniale è un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento dei legami di fatto, intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali. La disciplina dell’assegno divorzile prevede però che la sussistenza dei suoi presupposti sia ancorata al periodo di vita coniugale, ciò ha portato a ritenere che a nulla rilevino le scelte fatte nel periodo di convivenza prematrimoniale.
I sostenitori di tale orientamento, oltre al dato letterale e testuale dell’art. 5, c. 6 L. 898/1970 che riferendosi alla “durata del matrimonio” non sarebbe suscettibile di interpretazione analogica estensiva, fondano il proprio convincimento anche sulla specifica disciplina dettata dal legislatore per l’ipotesi di cessazione della “convivenza di fatto” disciplinata dalla L. 76/2016, che prevede, in caso di crisi, soltanto il riconoscimento di un assegno alimentare, una volta dimostrati lo stato di bisogno e l’impossibilità di provvedere al proprio mantenimento (a differenza di quanto invece previsto in caso di fine del rapporto dell’unione civile).
La Suprema Corte, con sentenza a Sezioni Unite 18.12.2023, n. 35385, cassando la sentenza di merito che aveva ridotto l’assegno di mantenimento in quanto il coniuge beneficiario aveva lasciato il suo lavoro per seguire il marito durante la convivenza (risultando così all’atto del matrimonio già priva di occupazione), ha ritenuto necessario verificare anche le condizioni in essere al momento della convivenza prematrimoniale, soprattutto nel caso di specie, in cui detta convivenza era stata “obbligata” per la pendenza del giudizio di separazione del marito e, quindi, nell’impossibilità di contrarre un nuovo matrimonio.
Al fine di accertare se l’eventuale disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, all’atto dello scioglimento del vincolo, sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione del ruolo svolto all’interno della famiglia deve necessariamente aversi riguardo alla durata dell’intera relazione e non solo del periodo matrimoniale.
L’autoresponsabilità deve infatti percorrere tutta la storia della convivenza. È dall’inizio dell’unione che le parti concordano tra loro le scelte fondamentali su come organizzare la vita coniugale e le principali regole che la governano, scelte che possono essere più volte ridiscusse e modificate in base a una autoresponsabilità di coppia. Quando la relazione giunge alla fine, l’autoresponsabilità diventa individuale e non si può prescindere da quanto avvenuto prima.
Sicché laddove emerga una relazione di continuità tra la fase di fatto dell’unione e la fase giuridica del vincolo matrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, deve computarsi anche il periodo di convivenza prematrimoniale per verificare eventuali scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possono ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici e rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole.