Società e contratti
08 Maggio 2024
È ricorrente il principio secondo cui le prestazioni lavorative, rese in ambito familiare, si presumono gratuite in quanto normalmente compiute “affectionis vel benevolentiae causa”.
Visto che le prestazioni lavorative, rese in ambito familiare, si presumono gratuite in quanto normalmente compiute “affectionis vel benevolentiae causa”, un possibile deterrente idoneo a ostacolare le rettifiche ispettive di siffatto genere potrebbe essere rappresentato dall’adozione della cosiddetta “certificazione del contratto di lavoro”.
Un itinerario sempre più spesso esplorato dal personale periferico dell’Ispettorato del Lavoro, al fine pervenire al disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato nei confronti dei familiari (conviventi) dei soci di S.r.l., ancorché non dotati della maggioranza delle quote, è quello di ricondurre la prestazione lavorativa come resa nell’ambito dell’impresa familiare, rinvenendo nella compartecipazione all’impresa collettiva una causa gratuita della prestazione lavorativa per ragioni di solidarietà familiare.
Sommessamente, tale assioma appare censurabile tenuto conto che la natura dell’impresa familiare non può essere collettiva, escludendosi, così, in radice la prospettiva ispettiva.
È questa una conclusione che si ricava direttamente dalla ratio della novità legislativa contenuta nella L. 19.05.1975, posto che, con il contenuto dell’art. 230-bis c.c. il Legislatore intese difendere dei soggetti (i familiari), il cui lavoro era in precedenza privo di ogni tutela e garanzia, non attribuendo ai familiari-lavoratori la qualifica di imprenditori.
L’istituto dell’impresa familiare, peraltro, ha carattere residuale rispetto ad ogni altro tipo di rapporto negoziale ed è incompatibile con la disciplina delle società di qualunque tipo. In tal senso, Cass. civile, Sez. Unite 6.11.2014, n. 23646.
E d’altra parte, la società, per quel che interessa la S.r.l., rappresenta un soggetto distinto dai soci dotato di personalità giuridica che consiste nell’alterità soggettiva tra organismo e partecipanti, e la prestazione di lavorativa dei dipendenti (anche familiari) avviene a favore del distinto soggetto giuridico societario, e non dei soci.
In ambito societario le parti private, e cioè la società e i familiari dei soci, instaurano un rapporto di lavoro subordinato: nel qual caso l’onere probatorio della simulazione è tutto a carico dell’ente previdenziale (Corte Appello Genova, Sez. Lavoro 2.03.2018, n. 45).
Appare, a nostro avviso, erroneo in diritto l’assunto che la prova della ricorrenza degli elementi del contratto di lavoro subordinato, competa alla parte contro la quale la simulazione è invocata (il lavoratore e la società), essendo invece onere di chi adduce la simulazione offrire, in linea col disposto di cui all’art. 2697 c.c., la prova del contratto dissimulato attraverso la dimostrazione della sussistenza degli elementi che positivamente lo connotano (Corte di Cassazione 22.04.1986, n. 2816).
Tenuto conto delle criticità emerse, ci si augura che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, attraverso il coordinamento dell’attività di tutti i soggetti deputati alla vigilanza, assicuri il pedissequo rispetto della lettera circolare 10.6.2013 n. 10478, laddove viene previsto che “l’eventuale disconoscimento dei rapporti di lavoro dev’essere presidiato da un’analitica attività istruttoria basata su una puntuale acquisizione di elementi anche testimoniali volti a suffragare le conclusioni”, censurando, pertanto, aspramente accertamenti meccanici e formalistici.
Nelle more l’unico deterrente ad incursioni ispettive di siffatto genere potrebbe essere rappresentato, a parere di chi scrive, dall’adozione della cd. “certificazione del contratto di lavoro” la cui efficacia giuridica, che consegue al positivo vaglio degli organismi preposti, fa sì che il contratto certificato acquisisca “piena forza legale” sia fra le parti, che nei confronti dei terzi.