Società e contratti
23 Novembre 2023
Orientamento ondivago della Cassazione sulla possibilità, nelle società di persone, di prelevare utili prima dell’approvazione del bilancio.
La prassi ormai diffusa nelle società di persone di consentire liberamente ai soci di prelevare nel corso dell’anno somme in conto utili viene messa in discussione da un’ordinanza della Cassazione (Cass. Civ., sez. I, n. 6865/2022) che contrasta invece con precedenti pronunce. Un orientamento ondivago che crea disorientamento e che lascia perplessi, ma che merita un approfondimento, lasciando al lettore la libera scelta se concordare o dissentire con il più recente indirizzo della Suprema Corte.
L’art. 2262 c.c. sancisce che, salvo patto contrario, il socio ha diritto a percepire la sua quota parte di utili dopo l’approvazione del rendiconto, senza che sia necessaria una formale delibera di distribuzione. Nelle società di persone, normalmente di piccole dimensioni, prevale l’interesse del socio alla ripartizione dell’utile in corso d’anno che costituisce di regola la retribuzione della sua opera prestata in favore della società e che sarà oggetto di eventuale conguaglio al momento della redazione del bilancio.
Questa sostanziale “libertà” nel prelievo degli utili sarebbe giustificata dal diverso regime di responsabilità che governa le società di persone rispetto alle società di capitali. Secondo prevalente dottrina e giurisprudenza, l’inciso “salvo patto contrario” contenuto all’inizio dell’art. 2262 c.c. sarebbe da interpretare in senso estensivo, nel senso che la norma, nel subordinare la distribuzione degli utili all’approvazione del rendiconto, ammette espressamente il patto contrario e quindi la possibilità di derogare a questa disposizione (Cass., sent. n. 10786/2003).
Tuttavia, questa impostazione si scontra con quanto disposto dall’art. 2303 c.c. e secondo cui “non può farsi luogo a ripartizione di somme tra i soci se non per utili realmente conseguiti”. Questa tesi è stata sostenuta dalla sentenza della Cassazione n. 17489/2018 secondo cui la distribuzione di utili non ancora conseguiti produrrebbe un rimborso mascherato di conferimenti.
Niente di più sbagliato, perché la distribuzione di acconti utili nel corso dell’esercizio presuppone che, dall’esame della situazione contabile, vi sia la disponibilità per farlo e che, quindi, sussistano utili in corso di formazione o formati nell’esercizio precedente e ancora da distribuire.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 6865/2022, ha sostenuto tuttavia una propria diversa interpretazione dell’art. 2262 c.c. ribadendo che il diritto dei singoli soci a percepire gli utili è subordinato all’approvazione del rendiconto, ritenendo che la locuzione “salvo patto contrario” sia invece da interpretare in senso restrittivo ovvero peggiorativo, così da limitare e non di espandere il diritto del socio alla percezione degli utili di periodo.
Peraltro, la Suprema Corte prosegue richiamando il divieto di distribuzione di acconti sui dividendi che trova l’unica deroga nell’art. 2433-bis c.c. contenuto nel titolo V, capo V riservato alle società per azioni e non ha nessun richiamo nella disciplina delle società di persone.
La più recente posizione della Suprema Corte è alquanto discutibile, soprattutto se consideriamo che la locuzione “salvo patto contrario” è decisamente ricorrente nel Codice Civile e spesso ha un significato estensivo. Inoltre, dobbiamo ricordare che, nell’applicare la legge non si può che ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole (art. 12 delle preleggi).