Accertamento, riscossione e contenzioso
09 Febbraio 2022
Opportuni chiarimenti sui presupposti di illegittimità degli atti istruttori, scaturenti dall'acquisizione documentale operata in sede di accesso presso locali adibiti a uso promiscuo (personale e imprenditoriale).
La tematica prospettata costituisce uno dei temi più complessi nel vaglio della validità degli atti istruttori del procedimento tributario. Si tratta di definire in maniera puntuale i presupposti di legittimità di acquisizione di quelle prove che si ritengano illegittimamente conseguite dall’Amministrazione Finanziaria, sulla cui base possono essere fondati gli atti di accertamento di maggiori imposte e l’applicazione di connessi profili sanzionatori.
La complessità del tema riguarda le difficoltà di addivenire a un’oggettiva composizione degli interessi in gioco:
Tenuto conto dell’impianto normativo di riferimento, il principio generale è costituito dall’art. 52, D.P.R. 633/1972, a mente del quale per gli accessi, ispezioni e verifiche da parte degli Uffici finanziari, l’autorizzazione all’accesso da parte dell’Autorità giudiziaria non è necessaria quando l’accesso si riferisce ai locali in cui si svolge la normale attività commerciale, agricola, artistica o professionale.
Differente è, invece, la prospettiva da considerare per quei locali che sono adibiti anche ad abitazione del contribuente, oppure per i locali “diversi” e quindi destinati esclusivamente ad abitazione. Si rammenta che per le 2 ipotesi citate sono sanciti presupposti diversi, in quanto solo nel 2° caso è richiesta la sussistenza di gravi indizi di violazioni, oltre all’autorizzazione del Pubblico ministero.
In tale contesto si colloca anche la difficoltà di individuazione dei locali destinati al c.d. “uso promiscuo”, per cui l’art. 52 si limita a richiedere l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, senza però fissarne presupposti, stabilendo così un mero adempimento procedimentale.
Ma come definire concettualmente tale ultima tipologia di locali?
Una puntuale risposta viene fornita dalla Cassazione (Cass. civ., Sez. V, ord., 20.01.2022, n. 1698) dove è specificato che, in ordine alla definizione di “uso promiscuo”, tale destinazione risulta configurabile non soltanto quando gli stessi ambienti sono contestualmente utilizzati per la vita familiare e l’attività professionale, ma ogni qualvolta si possa rilevare un’agevole possibilità di comunicazione interna, che consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali ad uso abitativo (cfr. Cass. n. 21411/2021). La “promiscuità” dei locali destinatari di accesso ispettivo e quindi la necessità dell’autorizzazione del magistrato competente, dipende esclusivamente dalla circostanza che vi sia tale “agevole possibilità di comunicazione interna”.
Nel caso in commento, la circostanza esposta non era ricorrente, trattandosi di immobili non collegati internamente, ma solo esternamente: circostanza che farebbe venir meno la ratio di maggior tutela connessa alla “promiscuità”. In mancanza di tale correlazione diretta, sono risultate infondate le doglianze difensive che pretendevano si addivenisse a una caducazione degli effetti dell’accertamento tributario, sulla scorta del difetto di autorizzazione dell’autorità giudiziaria, come prescritto dalla legge.
Due locali confinanti, ma non uniti internamente, non possono ritenersi dotati di quella caratteristica di “promiscuità”, per cui si esigerebbe l’autorizzazione specifica all’accesso.