Consulenza aziendale, commerciale e marketing
11 Marzo 2024
Tradotto in italiano si direbbe “abbandono silente”: un silenzioso e crescente disinteresse per le proprie mansioni che allontana i collaboratori dall’organizzazione, portandoli a isolarsi e disimpegnarsi dalle incombenze lavorative.
il fenomeno del “quiet quitting” si è diffuso rapidamente ed è stato posto sotto la lente dell’opinione pubblica da un giovane americano che lo ha reso virale sui social. Analizziamolo meglio per capire le implicazioni nel nostro contesto aziendale e professionale. Secondo una ricerca condotta negli USA nel 2022 da Gallup, dietro un lavoratore su 2 si nasconderebbe in realtà un “quiet quitter”: il dipendente che timbra il cartellino e si limita a quell’azione, senza la minima intenzione di dare “qualcosa in più” per l’azienda, che sia un’ora di straordinario o rispondere a un’e-mail fuori dall’orario lavorativo canonico.
Il tema non è nuovo, ma è stato rilanciato dai social soprattutto tra le generazioni più giovani in risposta allo stress da performance e dal crescente squilibrio tra lavoro e vita privata. Oggi il fenomeno è al centro delle riflessioni perché, dopo il tema delle “grandi dimissioni” che si era diffuso nell’era post-Covid, dietro al quale c’era la scelta di lasciare il proprio posto di lavoro alla ricerca di condizioni più flessibili e “umane”, sembra che la tendenza diffusa oggi sia quella del quiet quitting, ossia limitarsi al minimo indispensabile, evitando qualsiasi situazione che richieda un contributo aggiuntivo o un extra sforzo per raggiungere un determinato risultato.
Immaginiamo un’impresa fatta di quiet quitter: minimi segnali di proattività, attività routinarie, situazioni logoranti perché mai risolte, rapporti freddi e relazioni inesistenti, sfiducia diffusa e motivazione vicina allo zero. Per fortuna le situazioni reali non sono così estreme, ma l’esempio aiuta a comprendere che, quando anche solo una parte dell’organizzazione è popolata da questo sentimento, la negatività si diffonde a macchia d’olio, con il rischio di indispettire chi invece prende il proprio lavoro con dedizione e senso di responsabilità, causando cali di rendimento e bassi livelli di motivazione.
È proprio dalla motivazione dei collaboratori che occorre iniziare per mettere in atto soluzioni efficaci: la creazione di un clima aziendale sereno e motivante è un processo complesso, che richiede leadership e coerenza oltre che una strategia di lungo periodo da monitorare strettamente. La questione principale è quella del benessere aziendale, una condicio sine qua non perché l’organizzazione risulti attraente agli occhi dei talenti all’esterno ed altrettanto positiva una volta entrati a farne parte. Le dinamiche motivazionali sono spesso molto complesse e non univocamente applicabili a tutti gli ambienti professionali, ma ci sono delle linee guida universali da seguire per individuare la strategia più adatta alla propria struttura organizzativa e allo stile di leadership del capo.
La leva retributiva è certamente la più utilizzata e spesso anche la più efficace tra le tecniche di motivazione, ma oggi non è più in cima ai desideri delle persone: complici gli anni della pandemia e le situazioni globali geopolitiche sempre più incerte, altri elementi dell’offerta professionale come la flessibilità, la possibilità di lavorare in smart working o ibrida, politiche di welfare e wellbeing personalizzate sono diventati fattori via via sempre più distintivi ed importanti.
Secondo uno studio di Own Labs, il 37% delle persone alla ricerca di un nuovo impiego rifiuterebbe al giorno d’oggi un’offerta che non includa la possibilità di lavorare in maniera flessibile: un segnale forte rispetto all’importanza crescente che stanno acquisendo questi fattori rispetto all’offerta meramente economica. Si tratta di fattori che nel loro insieme compongono la proposta di valore aziendale e che, nel complesso, determinano il livello di benessere organizzativo vissuto dai collaboratori.
Le strategie applicabili per arginare il fenomeno sono molteplici ed è fondamentale innanzitutto porsi in condizione di ascolto delle esigenze dei propri collaboratori, per cogliere rapidamente segnali e necessità e poterli trasformare in azioni e programmi concreti.
Il ruolo delle Risorse Umane e di esperti professionisti del settore è centrale per agevolare la creazione di un clima positivo e stimolante, che promuova le persone motivate con la voglia di mettersi in gioco e di mettere a frutto il proprio talento in un ambiente sereno e positivo. È necessario un occhio attento ed allenato per individuare segnali precoci invertire efficacemente la rotta del clima aziendale intervenendo tempestivamente.
Beatrice Decò